20.11.05

Scritto sull’acqua

(che poi chi l’ha detto che scripta manent?)

Ci si preoccupa tanto di quel che si scrive?
Ci si preoccupa abbastanza di come si legge?
Verba volant, scripta manent, si diceva:
le parole pronunciate le porta via il vento, ma quelle scritte,
quelle scritte rimangono, nere su bianco, blu su azzurrino,
comunque stagliate, sono lì, pronte a ricordarti un amore,
rammentarti un impegno, rinfacciarti un voltafaccia.
Ma è davvero così? Contratti a parte, le parole scritte,
per passatempo, sentimento, noia, perse in un reticolo di fretta,
grondanti quello spasmo d’anima, hanno davvero maggior dignità,
valore, responsabilità delle altre?
Penso a quelle in rete, impigliate nei blog, scritte addosso a una mail,
ritagliate a una pubblicità,
penso ai ritmi forsennati di tanti di noi, agli sms catafratti,
alle migliaia di righe, alla pletora di millimetri, al surplus di stimoli
che ogni giorno riceviamo, e a quanto, quanto di quelle parole scritte,
scritte magari a noi,
scritte con cura, attenzione, amore antichi,
ci scivolano addosso, e allora è come parlare.
Anzi, no, perché ascoltare è mica tanto impegnativo,
ma leggere, leggere ti chiede uno sforzino,
e allora quasi quasi chi ti scrive ha una colpa in più.
Scripta manent, appunto.
E penso a Keats, alla poesia come ermeneutica dell’esistere,
e penso che oggi, in tanta fretta,
anche le parole scritte forse hanno una colpa in più.

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