chiaro ed informato dissenso
La notizia è sui quotidiani di oggi. Secondo la Cassazione, è legittimo che un paziente rifiuti le cure, purché lo scriva, e lo scriva "in modo articolato ed inequivoco". Sentenza nata dal caso sollevato da un Testimone di Geova.
Naturalmente non commento il caso, ma ciò che vi si legge, esplicitamente ed implicitamente, sulla lingua. Che si debba mettere per iscritto la propria volontà, possiamo darlo per scontato: se lo si esige dal medico, è specularmente corretto che lo si esiga dal paziente. Così come è giusto che la propria volontà di non curarsi sia espressa in modo "inequivoco", cioè chiaro e limpido. Che è anche quello che ciascuno di noi vuole dal suo medico. Una qualche perplessità lascia invece la prima modalità, quell'"articolato", cioè come dire, ben strutturato, complesso, non semplice. Lascia perplessi perché la capacità di scrivere in modo articolato non è di tutti; perché lascia pensare che sull'argomento una persona debba quasi scrivere un "tema", un piccolo trattato in cui convince o cerca di convincere il medico della sua scelta. Perché di fatto quindi l'opzione della non cura, quello che potremmo chiamare "dissenso informato", se così concepita, diventa opzione per pochi e non per tutti. Si può discutere sul merito della questione, se sia giusto o meno rifiutare le cure: ed ognuno dice quel che vuole (quante ne abbiamo sentite sul caso Englaro!), ma non si può discutere, credo, sulla democrazia della parola: a tutti deve essere data la possibilità reale, non teorica, di poter esprimere una propria scelta, senza che vi sia uno scoglio linguistico. Perché, come si è cercato di fare con il "Linguaggio della salute", la lingua sia un veicolo di salute, non di malattia, di verità e non di menzogna, disponibile a tutti, non a pochi. Una salute veramente democratica passa anche per un linguaggio veramente democratico. Ci sono casi in cui credo valga la massima evangelica: "dite sì quando è sì, no quando è no. Il di più viene dal maligno".
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