Il mestiere di comunicare
Che mestiere è?
Riusciamo a definire in modo inequivocabile il nostro lavoro,
il compito che svolgiamo all’interno della società?
Difficile, vero? Specialmente nel campo mutevole della comunicazione,
che è tornato a confrontarsi sul piano delle idee.
E proprio la comunicazione deve cambiare il suo registro, come se il prodotto dovesse lentamente uscire di scena per lasciare il posto all’informazione, al contenuto, all’entertainment.
Heineken non ha forse molta più presa al Jammin’ Festival che sugli scaffali di un supermercato?
Ne “La magia della scrittura”, Paolo Iabichino parla di ricalco emotivo
“… per raggiungere il pubblico desiderato al di fuori dei percorsi dell’advertising tradizionale.
Avviene quando il nostro messaggio, fuori dal suo abituale contesto, arriva inaspettato al destinatario e lo incontra più rilassato e predisposto all’ascolto, perché la comunicazione in quel momento è all’interno di un territorio valoriale comune”.
Delle caratteristiche relazionali del mestiere e della volontà e necessità di misurarsi con il destinatario del messaggio, Paolo I. ha discusso intorno a un tavolo con Francesco Cavalli (communication designer), Massimo Crotti (copywriter), Massimo Pitis (art director) ed Elio Fiorucci (stilista).
I punti di vista sono stati pubblicati su Alias, supplemento culturale de Il Manifesto, di sabato 3 settembre.
Ancora dalla Magia:
“I copywriter di oggi devono essere più versatili, sapendosi muovere agevolmente sia in ambito radiofonico che sull’espositore di un punto vendita. In ogni momento di contatto tra il prodotto, la marca e il suo interlocutore il copywriter deve saper trasferire la sintonia a due, rispettando il tono di voce, il registro e il codice di comunicazione che li ha fatti sentire sulla stessa lunghezza d’onda”.
Non trovate queste considerazioni ugualmente efficaci, anche sostituendo copywriter con communication designer e art director?
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