14.1.08

La farfalla e Sant’Ambrogio

Di certa propensione all’eloquio colorito
già parlammo in estate da queste pagine.
Dello sdoganamento di certe formulette
nei mezzi di comunicazione di massa, e giù giù
per le istituzioni, i luoghi pubblici, gli assembramenti,
anche a non parlarne, è consapevole chiunque abbia orecchie per intendere.

L’origine sessuale di tante parole che farciscono le nostre
conversazioni è del resto cosa nota anche in letteratura.
Quella italiana, che assemblò vari dialetti della penisola,
già in origine annovera ridanciani esempi di dialoghi osceni–lirici, ed è difficile che i più abbiano dimenticato la salacità
di certe letture del Decameron di Boccaccio
(da cui, non a caso, boccaccesco).

E di quell’originario assemblaggio di parole regionali
persiste memoria proprio nelle trivialità:
ce lo ricorda Dario Fo, in un articolo che si sofferma
sul genere, femminile o maschile, di alcune parole
che indicano gli organi sessuali e,
per estensione, altro.
Proprio in questo “altro”, Fo - in poche righe godibilissime-
da cunia a parpaja tratteggia parte della storia
della nostra cultura.
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