Traduzioni 'orientate' di termini di malattia
Mi è capitato di leggere un saggio di Maria Luisa Ciminelli sul tema delle politiche della salute e delle traduzioni 'orientate' di termini di malattia.
Interessante la tesi sostenuta: la traduzione di termini delle lingue 'deboli' (ossia del terzo mondo) nelle lingue 'forti' (occidentali) ha determinato effetti pericolosi -fino all'abuso terapeutico- quando si è trattato della traduzione del sistema salute/malattia locale. In alcuni casi, traduzioni irrispettose dei significati culturali locali, hanno portato a scelte terapeutiche erronee.
Più in generale, l'uso di lingue ufficiali, anziché di lingue locali, nella comunicazione paziente-fornitore di cure, ha costituito un ostacolo alla effettiva comunicazione tra i due interlocutori, aumentando le differenze e le distanze tra loro. Invece sarebbe preferibile realizzare nuovi costrutti lessicali, evitando sovrapposizioni di campi semantici con categorie linguistiche preesistenti.
Per saperne di più:
Ciminelli, M. L., 2005. «Politiche della salute e tradizioni “orientate” di termini di malattia. Alcuni esempi relativi alle lingue mandinghe (Africa Occidentale)», La Ricerca Folklorica, 50: 23-34.
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