24.1.08

La lingua e il pensiero

Ultimamente sentiamo parlare spesso di fiducia.
Oddio, i tempi sono quelli che sono,
e anche il rapporto Eurispes è poco consolante in merito.
Oltretutto la derivazione di fiducia da fede,
con quell’idea sottesa del legare,
può muovere qualche ulteriore sospetto.

Come spesso accade quando il presente è dissonante,
si guarda avanti e indietro,
e che quest’anno, in questo gennaio,
ricorra il 60° anniversario della nostra Costituzione,
sebbene possa risultare a taluni ininfluente,
è una bella occasione per fermarsi a riflettere
sulle parole oneste.

La Costituzione italiana,
soprattutto nei suoi Principi fondamentali,
è stata oggetto di insigni analisi di linguisti,
che ne hanno sviscerato le scelte lessicali e sintattiche raffinate,
ma tutte volte in una direzione:
quella di essere comprensibili.

Tra le suddette analisi,
quando la lessi mi colpì una constatazione di Valter Deon.
In riferimento agli atti dell’Assemblea Costituente,
egli scrive* che in quell’occasione:
“la lingua è stata lo strumento primo
della chiarificazione del pensiero e, al tempo stesso,
il pensiero ha trovato nella lingua la strada maestra
della ricerca e della conoscenza”.

Suppongo sia in buona parte condivisa la gratitudine
verso i padri costituenti di allora,
l’ammirazione verso quegli uomini e quelle donne
pronti a credere nel futuro della neonata Repubblica.
Intenerisce anche la lettura
che alcuni bambini e la loro maestra fanno, ora,
di quegli articoli per nulla invecchiati.

Se consideriamo poi certe attuali lingue pubbliche
ingarbugliate e ruffiane,
certo parlare a manetta coi relativi cascami di pensiero,
capiamo perché coglie il segno
quella limpida constatazione di Deon.


* “Una lingua democratica: la lingua della Costituzione”,
in G.Alfieri, A.Cassola, La «Lingua d'Italia». Usi pubblici e istituzionali, Bulzoni


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