Scacco matto
Ho avuto la fortuna di avere Peppino Ortoleva come docente di Teoria e Tecnica della comunicazione di massa. Ortoleva è uno dei miei tre guru italiani (gli altri due sono Gianni Canova e Ezio Manzini) e in un periodo della mia vita in cui le 10 del mattino erano notte fonda (ebbene sì, Zu, non sono sempre stata allodola) mettevo la sveglia alle 6:30 pur di arrivare in tempo a lezione e prendere posto. Le sue lezioni erano due ore di viaggi illuminanti alla scoperta di come abbiamo comunicato a partire dal 1844 in poi.
Parlando di televisione, Ortoleva ci provocò estremizzando la posizione di McLuhan sulla televisione come medium tattile: non solo è tale perché:
L’immagine televisiva ci chiede in ogni istante di “chiudere” gli spazi del mosaico con una convulsa partecipazione dei sensi che è profondamente tattile e cinetica, perché il tatto è un rapporto tra tutti i sensi e non il contatto isolato tra pelle e oggetto.
ma anche perché la maggior parte del piacere contemporaneo nell'uso della televisione starebbe, più che nel guardare le immagini, nel manipolare il telecomando. Un piacere manuale, più che visivo: l'ennesimo simbolo fallico, l'ennesimo scettro, non a caso dominio del pater familias, che non a caso ama ciò che è grottesco, e cioè la moltiplicazione dei falli per ciascuna nuova protesi sensoriale (il televisore, lo stereo, il videoregistratore, il lettore DVD, e così via).
Ecco, credo che per gli scacchi sia la stessa cosa. Padroneggio a stento le mosse, alla quarta sono in difficoltà e mi sembra di affogare dal panico, lo soffro in quanto gioco crudele, aggressivo e senza scampo. Ma il piacere è lì: nel disporre i pezzi all'inizio, e che siano tutti perfettamente al centro della loro casa, i cavalli che guardano avanti.
Il piacere è tattile anche nelle parole, anche quando rido con Serena e Vale incitandole a "sviluppare le figure" e a "mettere in comunicazioni le torri". Il piacere di un linguaggio nuovo: le case, le traverse, la Donna (non regina), addirittura un sistema di notazione per studiare le partite una volta finite.
La Torre è nera, senza ombra di scampo, e io suicida preferisco giocare con i neri, contrariamente alla mia natura ingenuamente solare: amo toccare le figure, l'alfiere snello, i pedoni leggeri. Soffro quando devo mettere in disparte anche quelli catturati all'avversario.
E il piacere è lì, superiore alla sofferenza dell'essere rapidamente battuta: toccare dei pezzi perfettamente bilanciati, spostarli in un mondo dalle regole cristalline che permettono configurazioni apertissime.
Di vincere, come al solito, me ne frega poco: a me basta toccare e che ogni tanto tocchi a me.
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