lingue e bugie
Una notizia, un libro.
La notizia è questa, per chi ancora non la sapesse: nel covo del mafioso Lo Piccolo gli investigatori hanno trovato anche un "decalogo", che contiene varie amenità, anche linguistiche, come questa: "Si è il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile a cosa nostra. Anche se la moglie che sta per partorire".
Il libro in cui mi sono imbattuto oggi, curiosando in libreria, è la riedizione della "Lingua bugiarda. Possono le parole nascondere i pensieri?" di Harald Weinrich, già uscito una prima volta una quarantina d'anni fa ed ora riedito dal Mulino.
Un bel libro, che si legge con gusto, anche per la capacità dell'autore di spaziare dall'antico al moderno, dalla letteratura alla storia.
Perché questo accostamento tra il "Decalogo" e Weinrich? Perché, appunto, come ci insegna lo studioso tedesco, con la lingua si mente, ma la verità esce anche dalla menzogna delle parole. E quali verità escono dal "Decalogo"? Che Lo Piccolo scrive delle cose che egli stesso non rispetta (ma vuole che siano gli altri a rispettare: così dicono gli investigatori); che ha una conoscenza approssimativa delle norme della lingua italiana. Già, delle 'norme'; e non solo linguistiche, evidentemente.
Se, in maniera del tutto ovvia, chi non conosce bene la lingua italiana non è necessariamente un delinquente (dovremmo mettere dentro almeno tre quarti di italiani), è anche vero che, se mettiamo insieme autore, messaggio, destinatario, codice, ne vien fuori qualcosa di omogeneo, dove anche il codice (la lingua) impiegata spiega molto.
E quelle parole allora diventano il segno di una grande menzogna, che è quella della mafia e del suo "codice" d'onore: fasullo, sconclusionato, ridicolo, se non fosse tragico. Come le sue parole.
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