27.6.08

Sotto il vulcano

Leggo stamani sul Corriere della Sera
un testo di Amos Oz che mi sembra di ricordare,
e infatti lo ritrovo anche qui.

I tagli sono distribuiti differentemente,
ma poco importa:
a me importa quel che oggi porto a casa
delle parole di Oz.
In relazione a stati d’animo,
tempi, luoghi, cronache,
i link mentali che si attivano ieri e oggi
sono dissimili.
Oggi porto a casa questo:

«Uno scrittore lavora con le parole.
Questo impone allo scrittore una responsabilità
verso il linguaggio. Ove parole piene di odio
vengano brandite come un'ascia contro
particolari gruppi di esseri umani,
non tarderà a fare la sua comparsa una vera ascia.

[…]

Uno dei compiti dello scrittore
è quello di intervenire
e suonare l’allarme ogni volta che il linguaggio,
che è il suo strumento di lavoro, viene contaminato.
Ogni volta che la gente usa, per un gruppo etnico
o religioso o altro,
termini come “sudicio” o “crescita cancerosa”
o “minaccia strisciante”,
lo scrittore deve alzarsi
e suonare il campanello d’allarme del villaggio».

[…]
.

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