9.10.08

Anziano sarà lei!

Ci risiamo. O che negli Stati Uniti sono stati presi dalla fregola delle ricerche sul linguaggio, o che "Repubblica" si è appassionata all'argomento. Notizia di oggi: "Niente eufemismi: agli over 70 parlate chiaro". Dalla consueta ricerca condotta in uno sperduto paesino dell'Ohio, si scopre che "il linguaggio che si adopera in qualche caso con gli anziani invia di fatto al paziente un messaggio specifico: quello che è un incapace". Come già avevo osservato in altro post (sono ripetitivo?), e come aveva (grazie!) ripreso Annalisa in altro recente, la conclusione cui dovremmo giungere è che le cose, i fatti sono conseguenza delle parole. IL che non è vero in assoluto (se fosse così, a quest'ora sarei in giro per i boschi a godermi l'autunno); ma è vero che le parole incidono fortemente sulla nostra percezione di noi stessi. E che a forza di sentirsi dare dello stupido, uno magari pensa di esserlo davvero. Accade naturalmente con maggiore facilità per coloro che, per motivi diversi, sono più esposti: bambini ed anziani appunto. Leggere, per credere, il "Linguaggio della salute": come per dire, vedete, l'avevamo detto. Ma in questa rivendicazione c'è poco da rallegrarsi. Perché emerge, dalla nostra realtà, ancora una volta (e accidenti, mi tocca essere d'accordo con gli yankee) che usiamo la parola non pensando a chi ci ascolta, ma a noi stessi. Se ci rivolgiamo ad un anziano con scarso rispetto o con un linguaggio infantile, è perché in quel momento stiamo pensando a noi, non a lui; perché stiamo creando una relazione asimmetrica, sul piano emotivo e quindi anche su quello linguistico.
In questo caso, come sempre, c'è una soluzione: usare la lingua come vero strumento di comunicazione, di messa in comune di suoni, parole, concetti, valori. Cioè essere sempre consapevoli che, per intrattenere una vera relazione con una persona, occorre mettersi nei suoi panni. O come dicono gli yankee, "in his/her shoes".

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