21.11.08

La parola si fa muro

La parola:
ponte gettato nel buio tra uomo e uomo.

Non ne ricordo l’autore,
ma certo, più che la paternità,
di questa frase mi colpì l’immagine:
la parola, nella sua funzione di trait d’union,
viene esposta in tutta la sua fragilità,
protesa com’è nel buio della soggettività comunicativa.

Una metafora semplice come quella del ponte,
efficacemente icastica,
sventaglia le sue valenze a seconda del contesto:
nel nostro caso l’accento è posto sul collegamento
tra persone,
altrove invece è sulla distanza:
se c’è bisogno di un ponte significherà che ci sono rive,
sponde, territori separati, ostacoli.

L’altrove di questi tempi è spesso in bocca
quando si parla di “classi ponte”
per bambini e adolescenti non italofoni.
Che taluni insistano a proporcele come opportunità
e vantaggio tout court è in stridente contrasto
con quanto argomentato da chi di bambini e lingua
si intende davvero,
e lo si può ben leggere nella/nota.pdf
redatta da quattro società linguistiche nazionali.

Inascoltati gli esperti,
come spesso accade in quest’epoca di pressapochismo
vorremo forse ignorare che il ponte ventilato
è solo il basamento di un altro muro.



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