30.5.07

Medici e parole: l'educazione terapeutica

Una delle mie migliori amiche ha avuto due TIA, attacchi ischemici transitori. Il flusso di sangue si inceppa da qualche parte lungo il percorso verso il cervello e lì si ha l’ictus, nel caso della mia amica, senza effetti permanenti.

È giovane, intelligente e piena di risorse; può condurre uno stile di vita normale. Con qualche precauzione e un’abitudine da acquisire: prendere un’aspirinetta al giorno, per tenere fluido il sangue. Bene. Anzi, male: non c’è verso che la mia amica quella pastiglietta si ricordi di prenderla: è nell’altra borsetta, l’ha lasciata sul tavolo, l’ha persa, l’ha presa papà. Sfidando la sorte con una superficialità che neanche le si addice.

Moltissimi malati cronici, anche con patologie più gravi, si comportano così, trasformandosi in un vero intralcio alla terapia assegnata dal medico. Che deve fare un medico per farsi ascoltare dai suoi pazienti?

Se ne parlerà dal 7 al 9 giugno, a Selva di Fasano (Brindisi) al congresso europeo “Ricerca, pratiche e controversie in educazione del paziente”, organizzato dalla SETE, Società europea di educazione terapeutica.

L’educazione terapeutica è un nuovo approccio di cura centrato sul paziente, che permette ai medici di accrescere le conoscenze dei pazienti cronici circa la loro malattia e ciò che essi devono fare per mantenere la migliore qualità di vita possibile.

Un tema fortemente incentrato sulla comunicazione.

Per curare efficacemente un malato cronico, infatti, non basta limitarsi alla corretta interpretazione dei sintomi clinici della malattia e alla prescrizione di farmaci. Con il paziente il medico deve stringere una vera e propria alleanza terapeutica, per insegnare, trasmettere, negoziare; per motivarlo e accompagnarlo in tutto il percorso della sua malattia. Il medico, insomma, deve imparare a riconoscere le emozioni osservate nel paziente e farsi bravo motivatore.

Sappiamo che gli ostacoli alla comunicazione possono essere numerosi: barriere culturali, linguistiche, emotive, scarsa motivazione, pregiudizi, difficoltà organizzative, economiche e logistiche, ma anche una formazione alla relazione e una capacità di ascolto insufficienti.

Il professionista sanitario oggi è chiamato a dotarsi di una vera e propria competenza professionale, per stabilire una relazione comunicativa e cooperativa efficace con il malato e la sua famiglia.

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