1.7.07

Elogio della lunghezza

La medaglia. “Sarò breve”.
Con queste due ammalianti, mendaci parole iniziano ogni giorno migliaia di discorsi in pubblico.
Sììì... ciao. È come entrare da Gucci e leggere “Dai, che qui risparmi”. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago.
Lo abbiamo capito tutti: nel business writing la sintesi è centrale; poche frasi, asciutte, dense, ficcanti, dritte al punto, prima che al lettore cada la palpebra.

“Ma non sarà che poi il messaggio risulta arido? che si finisce per dire poco? a mio figlio scrivono sui temi: scarno, poco analitico, non scende in profondità.” Già, la sintesi è spesso fraintesa con la superficialità.

Il problema ha già in sé la soluzione: la sintesi non è un presupposto, è un risultato; viene dopo l'analisi. Devi scrivere 20 righe? se ti metti lì e scrivi 20 righe, facile che siano superficiali. Se invece scrivi 4 pagine, e poi le tiri a 20 righe, allora è sintesi. E quasi sempre lì c’è più gusto che in 4 pagine: come una brodaglia, a furia di bollire, diventa un buon consommé.

E il suo rovescio. Nessun pregio, dunque, nella lunghezza?
Oh, sì, invece. Nella frenesia del nostro leggere e scrivere quotidiano, a volte proprio un testo lungo può emergere dal marasma. Sempre che non sia solo lungo, quindi noioso, ma che seduca il lettore, lo coinvolga, dialoghi con lui, lo incuriosisca, gli accenda delle domande, gliele tenga un po’ lì, e poi risponda, approfondisca, argomenti, fissi nella memoria.

Delle 34 lettere pubblicate in "The Greatest Direct Mail Sales Letters of All Time", una raccolta delle migliori lettere commerciali di tutti i tempi, metà sono lunghe da una a due pagine; le altre, da tre a sette pagine.

Non esistono lettere troppo lunghe: ne esistono solo di troppo noiose. Anche l'obbligo della brevità può produrre noia e standardizzazione: periodi brevi, pochi congiuntivi, quasi niente subordinate, inevitabilmente sempre la stessa lettera.

Per contro, hanno avuto successo lettere di quattro, otto pagine, o più. Una lettera deve rispondere alle domande che il lettore si pone. Anche se non leggerà tutto, poi, la lunghezza può avere un impatto psicologico positivo: rassicura, ispira fiducia.

Il lettore deve intuire che non perderà tempo. Che già nelle prime righe coglierà il messaggio, senza annaspare fino ai cordiali saluti per trovarlo. E che poi, se occorre, potrà scendere in profondità. Come nel web, con la sua scrittura “tridimensionale”.

Del resto, chi scrive nel web, tanto o poco si è formato sui sacri testi di Jakob Nielsen. Avete letto questa sua mappazza? Concise, scannable, and objective: how to wite for the web. Un must, eppure mappazza: sono più di 40.000 battute. E la intitola "Concise", capito?! Certo, il furbino mette davanti un abstract, le parole chiave, grassetti, link, un sacco di titolini, in più si scusa per la lunghezza ("Unfortunately, this paper is written in a print writing style..."), poi ti dice che c'è una versione più breve se preferisci, e tu te lo ciucci tutto, il suo sapere.

Se hai provato i vantaggi della lunghezza, per favore di’ la tua (se puoi, allegando anche qualche esempio).
Grazie.