5.9.07

"Una lettera non dice quello che vuol dire solo con la scrittura"

A dirlo è Esther, vecchia ebrea, personaggio del romanzo "Il mio nome è rosso" di Orhan Pamuk, un romanzo per così dire corale, nel quale ogni capitolo è narrato da un personaggio diverso. Esther deve consegnare una lettera di Sekure, giovane donna sposata con un cavaliere che però non è più tornato dalla guerra, a un suo antico innamorato, Nero Effendi. Nella lettera, la donna gli scrive di non farsi più vedere; ma Esther, che pure è analfabeta e, per carpire il contenuto della missiva, deve farsela leggere da altri, elenca una serie di ragioni per cui in realtà Sekure non vuole affatto che Nero non torni (doppia negazione...). Perché, a parlare, stanno gli elementi extratestuali o paratestuali. Sta la grafia, il leggero profumo sparso (apposta? per caso?) sulla lettera, la forma e il numero delle piegature, il disegno allegato... Ed allora come non concordare con Esther, quando dice "Si può leggere la lettera anche annusandola, toccandola, palpandola, proprio come un libro. Perciò le persone intelligenti dicono, leggi, vediamo cosa dice la lettera. Le persone stupide invece dicono, leggi, vediamo cosa scrive".
Già, tra lo scrivere e il dire, a volte, c'è più di un mare di mezzo.

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