La vita è tutta un kit
S’intitola così l’articolo di Claudia Di Pasquale sul numero di "D-La Repubblica delle Donne" da oggi in edicola. Un’indagine a tutto campo sulle implicazioni psicologiche e sociali di una parolina tanto breve quanto potente.
Sono passati oltre 20 anni da quando il termine kit fece capolino in Italia, per i primi test di gravidanza e il set fai-da-te dei computer. Oggi, kit di tutti i tipi invadono uffici, famiglie, stanze dei bottoni e scatenano aspirazioni vecchie e nuove.
Secondo Francesco Taddeucci, direttore creativo di Saatchi&Saatchi, hanno successo perché permettono di recuperare una relazione intima con gli oggetti rimandando alla possibilità di creare, di costruirsi qualcosa da soli.
Nunzio La Fauci, linguista dell’università di Zurigo, mette però in guardia: “La parola, è vero, contiene in sé l’idea positiva del fai-da-te, ma il problema è che comunica un valore fasullo di libertà. Il kit trasforma il consumatore in servitore di sé stesso e dell’azienda che gli vende il prodotto”.
La verità, come sempre, sembra stare nel mezzo. Se è utile il kit per la raccolta differenziata, più di una perplessità lascia la recente iniziativa del sindaco di Milano: un kit antidroga per accertarsi se il proprio figlio faccia o meno uso di stupefacenti aiuterà a ricostruire un dialogo costruttivo?
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