Con sobrietà
In questo bel fine settimana ho conosciuto persone nuove,
ma soprattutto ho incontrato amici.
Insieme ci siamo confrontati su diversi argomenti, e abbiamo
tra l’altro analizzato un film che parla di giustizia.
Giustizia intesa non solo come principio etico né (tanto meno)
come virtù cardinale,
quanto, piuttosto, come facoltà di applicare le leggi.
Ora, nel mio giretto sul web,
incrocio un’intervista a Luigi Scotti,
ministro di Grazia e Giustizia nell´ultimo governo Prodi,
magistrato e oggi assessore alla Legalità e alla Trasparenza
del Comune di Napoli e, al di là dell’agone giudiziario
che infervora ambienti politici e no,
quello che mi fa pensare nelle sue parole
è quel non condividere ogni «tentativo di strizzare l´occhio
al pubblico, mentre si scrivono atti giudiziari».
Scotti asserisce di non gradire il ricorso continuo alla metafora
e simili: «qui non si tratta di scelte di prosa,
quanto di rispetto del proprio ruolo istituzionale.
Il magistrato sia stringato ed efficace nella trattazione;
e sobrio nel linguaggio».
Il resto, vale a dire il ricorso alle figure letterarie,
è per lui «Usurpazione degli strumenti di altri».
«Espressioni che non appartengono al linguaggio giuridico,
ma tutt´al più a quello dei sociologi, degli storici,
degli analisti di un dato contesto urbano.
Di contro, la neutralità della figura del magistrato
dovrebbe essere provata dalla forma in cui si esprime»:
oggettiva.
Con tutta la stima e il rispetto per le affermazioni di quest’uomo,
continuo a chiedermi quanto i fatti riescano a essere sobri
(figuriamoci dunque la loro interpretazione e, tanto più,
la loro estensione in parole).
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