Alla burchia, alla burchia!
Nominativi fritti, e mappamondi,
E l'arca di Noè fra due colonne
Cantavan tutti Chirieleisonne
Per l'influenza de' taglier mal tondi.
(…)
E questo sanno tutte le castagne,
Pei caldi d'oggi, son sì grassi i gufi,
Ch'ognun non vuol mostrar le sue magagne.
E vidi le lasagne
Andare a Prato a vedere il sudario,
E ciascuna portava l'inventario.
Domenico di Giovanni, nel Quattrocento, ammassa parole, immagini e pensieri senza precisi nessi logici. È conosciuto come Burchiello: la burchia
è una barca nella quale le merci sono caricate alla rinfusa,
e poetare alla burchia indica appunto la tendenza ad ammassare le parole.
Dietro c’è spirito mordace di un autore colto, che dimostra di conoscere bene
i testi dei classici e degli Umanisti, e li mette in ridicolo.
È arrivato fino al Novecento questo stile, nei testi simbolisti, futuristi, e oltre.
Ci fa l’occhiolino pure in questi giorni di bailamme elettorale:
nel rincorrersi di notizie, smentite, coup de theatre, agnizioni,
le parole ancora una volta si piegano allo spirito beffardo.
Io ho in mente vari esempi.
Voi?
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