14.10.06

Donne con le gonne

«Questo è quanto riguardo la mia intenzione matrimoniale [...]»

Ma qui era assolutamente necessario interromperlo: «Non corra tanto, signore» esclamò Elisabeth. «Si dimentica ch'io non le ho ancora risposto.
Me lo lasci fare ora senza altra perdita di tempo. Abbia le mie grazie
per la distinzione che mi usa. Sono profondamente commossa
dalla sua proposta, ma non posso fare altro che declinarla».

«Mi era già noto» rispose il signor Collins con un gesto affettato
della mano «che è consuetudine delle signorine respingere alla prima le profferte dell'uomo [...]. Non mi sento perciò affatto scoraggiato
da quello che or ora lei mi ha detto e nutro fondata speranza
di condurla ben presto all'altare».

«Sull'onor mio, signore» esclamò Elisabeth «la sua speranza, dopo la mia dichiarazione, è quanto mai singolare [...]. Sono sincerissima nel mio rifiuto [...]. E con questo la cosa può ritenersi definitivamente esaurita».

Così dicendo, si alzò e sarebbe uscita dalla stanza
se il signor Collins non le si fosse rivolto in questa guisa:
«Quando mi procurerò l'onore la prossima volta di riparlarle
su questo argomento, so sperare di ricevere una risposta più favorevole
di quella che ora mi ha data, sebben sia ben lungi attualmente
dall'accusarla di crudeltà,
sapendo che è antica consuetudine del suo sesso respingere
un uomo alla sua prima richiesta; e forse lei ha già detto
quanto ci voleva per incoraggiare la mia insistenza,
conforme alla delicatezza propria del carattere femminile».

«Ma davvero, signor Collins» esclamò Elisabeth con un po' di calore
«lei mi mette in grande imbarazzo. Se quanto le ho detto sino a qui
può sembrarle una maniera d'incoraggiamento, non so proprio
come esprimerle il mio rifiuto, per convincerla che è proprio un rifiuto».

«Mi permetta, mia cara cugina, di lusingarmi che il suo rifiuto sia
semplicemente un modo di esprimersi [...]. Per cui, dovendo concludere
che non è sul serio che lei mi respinge, non posso fare a meno
di attribuirlo al suo desiderio di accrescere il mio amore
con la sua indecisione, secondo la consuetudine delle signorine eleganti».

«Le assicuro, signore, che non pretendo in alcun modo d'appartenere a quel genere di eleganza che consiste nel tormentare un uomo dabbene. Vorrei piuttosto che mi facesse la finezza di credermi sincera.
Mille volte la ringrazio dell'onore della sua offerta,
ma mi è assolutamente impossibile accettarla.
I miei sentimenti me lo proibiscono sotto ogni rapporto.
Posso parlare più chiaro?
Non mi giudichi ora come una signorina elegante,
ma come una creatura ragionevole che dice la verità che viene dal cuore».

«Sempre adorabile» egli esclamò con goffa galanteria. «Sono convinto che, una volta sanzionata da ambedue i suoi ottimi genitori, la mia proposta non mancherà d'essere accettata».

Orgoglio e pregiudizio è del 1813.
Jane Austen tra l’altro vi affronta il problema (allora) spinoso
del trovare marito. In queste righe, mentre Collins ostenta
le proprie credenziali economiche,
fa della proposta di matrimonio una compravendita,
ricorre a un linguaggio tronfio e antiquato,
Elisabeth ricalca con ironia il linguaggio del cugino,
ma come una creatura ragionevole che dice la verità che viene dal cuore
è diretta e franca nell’esprimere il proprio rifiuto:
posso parlare più chiaro?

Ragione e sentimento qualche volta vanno d’accordo,
e mi chiedo: come avrebbe scritto queste righe un uomo?
le avrebbe scritte?
Sì, perché la cosa mi interessa da un po’,
anche grazie a questo studio.

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