Tempi di Attesa – SE FAI IL BRAVO, TI DO...
Sul marciapiede si avvicina un papà che si tira dietro un bimbetto già abbastanza astuto da aver imparato a frignare per ottenere qualcosa. Non si capisce bene che cosa voglia: è chiaro solo che dalla sua statura di nanetto sta arrivando a far cadere il gigante oltre il limite della sopportazione. Sento che l'omone è riuscito ad appigliarsi ai suoi buoni principi e sentenzia: "Se fai il bravo, ti do..." D'incanto si ristabilisce l'equilibrio, nel rispetto dei ruoli e delle masse corporee. E mentre si allontanano, il piccolo si mette al passo come un cagnetto ammaestrato.
Come le vicende di Harry Potter confermano, gli incantesimi riescono particolarmente bene ai malvagi; e i buoni, se si illudono di usarli a fin di bene, finiscono per fare il gioco di quegli altri.
Quella frase così breve e frequente, tanto allettante per il piccolo, quanto poco impegnativa per l'adulto, nasconde presupposti che pesano come macigni e che possono costruire muraglie invalicabili nella mente di chi se la sente ripetere per anni, mentre sta ancora cercando di farsi un'idea della vita. E' chiaro che l'incantesimo funziona perché attua un ricatto. Anche se il ricatto è a fin di bene, non muta la sua perversa natura, che fa leva sulla paura di una conseguenza o, come in questo caso, sulla paura di perdere un vantaggio: niente di positivo comunque. E poi, che cosa significa fare il bravo? Di fatto vuol dire fare quello che piace all'uomo grande, anche se non sempre è ben chiaro: una volta vuol dire camminare come un soldato, un'altra stare fermo e zitto come una statua, o al contrario atteggiarsi come il Grillo Parlante e, senza fare il saputello, rispondere per bene alle domande, anche se idiote... Per ottenere il premio, non basta reprimere gli impulsi spontanei, ma, dato che bisogna piacere al gigante, occorre ingegnarsi a spiare i suoi umori e ad arguire i suoi pensieri.
Così crescendo, nei casi peggiori si diventa psicologi e forse psicoterapeuti; nei casi migliori si opta per l'anarchia. Per non esagerare, c'è anche la via di mezzo della nevrosi, alquanto comune.
L'effetto più triste di questa frase minatoria è la svalutazione del dono. L'oggetto o il comportamento che costituiscono il dono dovrebbero essere la forma tangibile di un atteggiamento libero e spontaneo suggerito dall'affetto. Il dono è per sua natura gratuito, mentre quel povero babbo che ho visto passare, con quelle parole l'ha svilito al livello dei premi del supermercato: cose che, al di là dell'apparenza, si pagano a caro prezzo.
E' bello pensare che quel giovane sia stato un giorno sospinto con la sua compagna dalla brezza piacevole e imprevedibile dell'amore: magari contro il parere di una famiglia benpensante; magari dopo aver accettato saggiamente di essere scelto da lei. Sarebbe bello allora che anche nei confronti del piccolo uomo nato da loro si lasciasse guidare dallo stesso spirito folletto, anziché ridursi a imitare un subdolo ammaestratore del circo. Se mi potesse sentire, scommetto che obietterebbe: "D'accordo, ma io l'educazione come gliela insegno? Non voglio fare come voi, cresciuti nel sessantotto, che come padri avete abdicato al vostro ruolo!". Accetterei volentieri la critica generazionale: molti di noi hanno infatti peccato verso i figli per un malinteso senso di tolleranza, che in realtà mascherava il mancato coinvolgimento nella relazione.
Per superare il mortificante compromesso fra ragazzo selvaggio e cittadino integrato, occorre appunto investire nella qualità della relazione. Certo, è meglio evitare di predicar bene e razzolar male, ma più ancora è necessario conquistare con l'affetto: solo questo probabilmente sa suscitare l'imitazione libera, la critica consapevole e soprattutto la fiducia che anima la nuova persona.
Pierluigi
P.S. Al cinema abbiamo visto "The Good Shepherd – L'ombra del potere" di Robert De Niro. Ho dovuto farmelo spiegare perché non ho capito molto, se non questo: il protagonista Matt Damon ha scelto una carriera che lo rende triste e sta ancor peggio quando scopre di essere responsabile dell'infelicità del figlio. Mi è parsa una spiacevole conferma del mio discorso. Purtroppo, come potete vedere http://www.mymovies.it - http://www.sentieridelcinema.it non è un film per ridere, ma non l'ho fatto io.
Etichette: educazione, persone e parole, rispetto
<< Home