22.9.07

Do et das

Quando impari la grammatica - e la vita - da un semplice dialogo in un negozio

Sì lo so che il detto è do ut des: io do affinché anche tu dia. Però preferisco do et das: io do, e dai anche tu. Il tuo dare non è lo scopo del mio dare: mica sono così braccino corto, dio bono, che mi scappa qualcosa dalle mani solo perché conto che poi succeda lo stesso a te. È il contrario: io do perché sono sono felice che tu possa ricevere qualcosa da me, a prescindere dalle tue intenzioni; e poi, come una magia, succede che doni anche tu, con la stessa semplicità.
Del resto, ut = affinché, congiunzione con funzione finale, introduce proposizioni finali, in cui è espresso lo scopo dell’azione; et = e, congiunzione con funzione copulativa, coordina elementi di uguale valore grammaticale in una proposizione, o proposizioni di uguale valore sintattico in un periodo. Potenza dei connettivi!
Beh, ho avuto una lezione su questo tema, ieri, a Torino, in un negozio Montblanc.

*** *** ***

Tutti abbiamo qualche vizio. Uno mio è la Montblanc. Riesco a scrivere solo con quella, matita, stilografica o roller, neanche la biro (chissà se è vero, poi, ma mi piace contarmela così). Ieri mattina passo davanti a un negozio Montblanc, a Torino, via Roma. Mi ricordo che ho una penna con il refil che non scrive bene, per la verità non ha mai scritto gran che. Anche mia figlia, cui ho regalato una penna per la maturità, ha il refil che non scrive.
Buongiorno, posso aiutarla? Sì, ho questa penna che... e gli racconto. L’ha acquistata qui da noi? chiede, tono benevolo. No. Sa, fa lui, Montblanc garantisce il roller per 5mila metri di scrittura, il refil biro per 10mila; non mi permetto di parlare di chi non conosco, ma forse in un piccolo negozio i prodotti restano lì a lungo, sa, il prodotto è delicato, una piccola sfera che gira in una piramide senza punta, l’inchiostro che lasciato lì si secca... Beh, me lo cambia? chiedo, sbrigativo, temendo la solita pippa sulla qualità del servizio. Certo: pochi secondi, svita, riavvita, mi chiede di provare il tratto. Ok. Prendo i soldi e mi ferma con un sorriso: è un nostro omaggio. Come? penso, mica l’ho presa qui la penna, che c’entri tu? e faccio due complimenti di circostanza, troppo gentile, grazie mille, e via. Mi tira fuori un biglietto da visita, Salvatore Paggio, boutique manager, e raccomanda: se avesse ancora problemi la prego di informarmene, perché ora io ne sono responsabile. Non ho parole: mi vede per la prima volta, sa che non piazzerà la vendita, ha solo da cambiarmi un pezzo, me lo regala e se ne fa pure carico per il futuro! Lo amo. Uscendo, gli chiedo: fate orario continuato? Certo. Torno con mia figlia, così accetto il suo omaggio e compro il refil per lei. L’aspetto, fa lui. Esco, pensando di ricambiare così la gentilezza (come se comprare in un negozio fosse una gentilezza che fai al negoziante). Bon, passo a prendere mia figlia all’università, pranzeremo insieme, le chiedo la cortesia di venire con me al negozio, lei resiste, ha fame, ti prego, è una questione d’onore, ok andiamo. Bentornato, buongiorno signorina, vediamo la penna? Ripete l’operazione, più sbrigativo, senza conferenze, svita avvita, ecco, dice, anche questo è un nostro omaggio. Ora faccio più resistenza, ma mi rismonta con il sorriso: noi ci teniamo al nostro marchio, e ai nostri clienti. Capito, il Salvatore? neanche ha preso un centesimo, e già ci etichetta come suoi clienti.
Beh, hai ragione, Salvatore. Dove vuoi che vada, la prossima volta, a comprare una Montblanc?

Etichette: , ,