Quella foglia di fico
Ti preoccupi di come ti legge chi ti legge?
Fai bene, perché a molti è ormai chiaro
che questa non è pura filantropia, ma un’opportunità
che offri anche a te stesso.
Già, perché visto che nessun testo comincia ab ovo, cioè dall’inizio,
ma presuppone l’altro sappia già, abbia la stessa enciclopedia
e magari la stessa sensibilità nostra
(e di certo questo non è),
l’incomprensione è in agguato.
Anzi, è addirittura inevitabile.
Per fortuna la comprensione non segue il modello lineare 0-1
0= non comprensione
1= comprensione
ma si dipana in un reticolo complesso, dove entrano in gioco
vari fattori, tra cui la relazione tra chi scrive e chi legge,
ma non solo.
E così tendere alla comprensione 1,
che è il massimo che ci possiamo augurare (ma forse resta confinata
nella testa dello scrivente), è anche un fatto di controllo,
o – se preferiamo – di consapevolezza.
Quindi, dicevamo, se capire non è solo un problema di chi ci legge
ma anche nostro, eccola l’opportunità che offriamo a noi stessi:
quella di provare a scavalcare l’inesprimibile
con un linguaggio il più possibile trasparente,
cosa che sappiamo fare solo riempiendo i buchi
delle nostre conoscenze, facendo cadere insomma quella foglia di fico.
Mi son tornate in mente queste parole,
ascoltate in una lezione di Emanuela Piemontese,
perché l’altro giorno ho incontrato il sito di uno studioso di linguistica
che affronta temi spesso ostici con uno stile originale, divertente,
accostabile.
E visto che tra le varie sezioni ne ho trovata una
dedicata all’indice di leggibilità Flesch-Vacca,
che misura la facilità di lettura di un testo
e la indica con un valore numerico, mi sono divertita a calcolare
gli indici di leggibilità di qualche post,
anche di questo.
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