9.12.08

le nuove frontiere della narrazione

Non so se la notizia stia nei 25 milioni di dollari; o nel fatto che con quella montagna di denaro ci sia chi vuole occuparsi del futuro della narrazione; o che il soggetto (il “chi” ovvero “who”), non siano letterati o studiosi di letteratura, ma, come avrebbero detto nel medioevo, “vili mechanici”, nel caso nostro nientemeno che quelli dell’MIT di Boston. Con, appunto, il benevolo supporto dollarico di una Major del cinema e della TV.

Che faranno questi? stando alle notizie, studieranno come le nuove tecnologie potranno modificare l’impianto tradizionale della narrazione: aperta ai lettori. “Interattività” potrebbe essere la parola chiave. Socmel, direbbero a Modena. Si smuovono fondi così cospicui, è evidente, non solo per fare del bene all’umanità, ma, si suppone, anche per escogitare nuove forme di “bisini” (per chi non sa l’italo-americano: affari).

La notizia dunque c’è, comunque la si guardi. C’è però anche dell’altro: come ben tutti sappiamo (però non so dire a chi corrisponda quel “noi”: fate vobis) dietro c’è anche una interpretazione della letteratura e dell’atto comunicativo in genere che ha i suoi padri nobili in gente come Gadamer, Jauss e anche il nostranissimo Eco. Ovvero, che il lettore ha un ruolo attivo, che legge mediante la sua propria enciclopedia personale un qualsiasi testo e che quindi in qualche modo, interpretandolo, lo modifica. Il passo ulteriore, già peraltro sperimentato, è quello di una reale scrittura del lettore (o di una scelta tra varie possibilità) di parti del testo. Bello, ma non ci si dica che è novità. Perché non lo è. Già il nostro Pater Dante, quando scriveva i sonetti in età giovanile (quelli d’ordine stilnovistico) lo faceva in un processo quasi da “cooperative learning” con i suoi amici; così anche nel Seicento era d’abitudine che qualsiasi autore si facesse leggere, correggere e modificare ciò che scriveva da amici/conoscenti/autorità.

Ciò che apparentemente c’è di nuovo è che tale processo potrebbe (potrebbe) essere “democratico”, aperto a tutti. Ma:
a) sarà davvero così? Non ci sarà un effetto facciamo-casino-tanto-a-scegliere-e-a-scrivere-saranno-sempre-quelli-che-tengono-i-fili-in-mano?
b) la scrittura è democratica quando si apre a tutti indistintamente? Anche quando non ci sono capacità/competenze/intelligenze?

Che sarà dunque? Da domani, si vedrà, per dirla con i “Ricchi e Poveri”. Almeno qualche domanda ce la possiamo porre ora. E fosse anche solo per questo, un grazie lo dobbiamo all' MIT. Anche perché l’oggetto, la narrazione, comunque sia, ci piace assai e pensiamo che sia anche uno strumento fondamentale per capire il presente, in ogni sua forma. Anche quando – come ci capita per lavoro – facciamo narrare le aziende e chi in esse trabaja. Anche in quel caso, la narrazione serve per porre quesiti, chiarirne il senso, tentare strade nuove. Allora, “adelante, Pedro, con juicio, si puede”.

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