28.8.08

Caldamente

A qualche migliaio di chilometri come mi trovo,
mi è impossibile venire.
Ma lo consiglio a chi sarà in zona, e anche un po’ più in là.
Parlo del Festival della Mente di Sarzana,
che prende il via domani, 29 agosto.

Le precedenti quattro edizioni
sono state un’intensa giostra di pensieri e parole:
ad esempio ricordo con entusiasmo
l’intervento di Galimberti. Ne
parlammo appunto un anno fa,
ma è ancora possibile
ascoltare i vari contribuiti
delle scorse edizioni.

Anche quest’anno conviene dare un’occhiata al
programma,
e magari prenotare i biglietti.

(Da qua dove mi trovo
mi capita di guardare all’Italia col cannocchiale rovesciato,
ma col cuore e la mente sono spesso lì.
Penso succederà anche per Sarzana).

Do widzenia!
;-)
.

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25.8.08

Gabbiani e vita

Vi è capitato in alcuni momenti di soffermarvi a pensare – appoggiando il libro – a ciò che avete appena letto?
Utilizzare le metafore nella scrittura è a volte utile per comunicare degli spunti che, anche se apparentemente banali, possono indurre il lettore a riflettere.
Si ha forse bisogno di leggere più volte per capire il significato profondo. Può essere molto sottile e non sempre è così chiaro e immediato.
Le metafore sono a mio avviso affascinanti perché ogni lettore riesce a cogliere contenuti diversi e sicuramente importanti per lui in quel momento.

In questo post parlo di un gabbiano e lo associo alle persone. Noi tutti possiamo essere lui e cogliere dal suo volo, dalla sua libertà, dalla sua capacità di osservare il mondo a 360° ciò che è insito in noi, un desiderio o un aspetto della nostra personalità.
Descrivo anche un paesaggio marino. L’acqua è l’energia vitale ed è alla vita che ho pensato a quando l’ho scritto.
Scrivo in prima persona perché è un’esperienza vissuta da me, ma vorrei che quel “io” fosse ognuno di voi.


Un gabbiano mi accompagna lungo il cammino sul lungo e deserto molo planando sui lampioni che via via oltrepasso.
Appena gli passo sotto, lui si sposta velocemente su quello successivo.
E’ rivolto all’orizzonte, il suo sguardo è lontano. Per un attimo mi fermo sotto di lui e lo osservo.
Sono emozionata perché questo gabbiano dall’alto sembra si rivolga proprio a me. Dal suo becco escono suoni acuti e alti, come per rimarcare delle parole.

Continuo il percorso fino al faro. A un certo punto lui si ferma lasciandomi passare.

Arrivo alla meta, mi siedo e faccio qualcosa che non è nella mia natura: chiudo gli occhi e immagino il paesaggio attraverso i suoni che percepisco, nel sottofondo c’è il rumore delle onde che s’infrangono sugli scogli.
Il sole calante riscalda ancora la mia pelle e respiro l’aria tiepida, la faccio entrare profondamente nel corpo.

Apro gli occhi, davanti a me c’è l’infinito, quella linea netta di separazione tra il cielo e il mare di due colori così contrastanti ma armonici tra loro che mi riportano al senso della vita.
Piccole onde si susseguono una dopo l’altra e mentre volgo lo sguardo verso il sole, mi accorgo di uno spazio silenzioso del mare. Tutto parla tranne quel punto dell’acqua raggiunto dal riflesso del sole.

E’ una sensazione nuova e particolare.
E’ come se nell’infinito mare - in quella parte riscaldata ancora dal sole pallido - ci fosse un canale, visto dall’alto, dove esiste solo silenzio.
E’ il silenzio della riflessione e queste onde entrano ed escono da questo spazio rigenerate.

In questo panorama i gabbiani volteggiano padroni del cielo, liberi tra il vento. I loro versi fanno da eco.
Il loro volo a volte battente a volte planato, risveglia il desiderio di volare al di sopra delle cose, del mondo e fa riflettere sull’utilità di osservare dall’alto, dissociandosi dal paesaggio, dalla natura, dalle cose e dalle esperienze.
Volare al di sopra di tutto, del mare, del suo rumore, del suo silenzio e del suo calore per apprezzare ancora di più la naturale bellezza che ci circonda.

Alcuni si posano sui lampioni. Arrivano veloci e con un colpo d’ali si fermano magistralmente.
Immobili fissano l’orizzonte, fieri e liberi di assaporare le emozioni del vento e della libertà.
Da lassù emettono con la loro voce stridula versi incomprensibili e ripetuti.

Al mio ritorno quel gabbiano è ancora sullo stesso lampione. Il suo sguardo questa volta non è più rivolto all’orizzonte ma alla terraferma, al porto, alle case sparse sulla collina. Anch’io volgo lo sguardo come lui e noto alcuni particolari, suoni, colori, forme e sensazioni che mi erano completamente sfuggiti. Non potevo coglierli prima perché ero talmente assorta a contemplare l’orizzonte che non mi sono accorta di quanta armonia c’era dall’altra parte.

L’emozione è grande!

Quel gabbiano mi ha trasmesso la sua voglia di osservare il mondo, la sua capacità di fermarsi in ogni luogo planando con maestria, la sua sensazione di libertà, la sicurezza di sé stesso, la fierezza del suo volo e delle sue parole, la sua saggezza.

Se ne è volato via lasciandomi sola tra il dolce rumore delle onde, l’infinito e i miei pensieri.

E’ stato un grande maestro!
Mi ha insegnato a guardare ciò che i miei occhi non vedevano e ad ascoltare suoni sconosciuti ricchi di significato.
Mi ha ricordato di apprezzare sempre la vita, in tutti i suoi mutevoli e innumerevoli momenti di felicità e di tristezza.
Mi ha urlato a squarciagola di voltarmi in ogni direzione per avere una maggiore visione e consapevolezza di tutto ciò che ci circonda.

4.8.08

Riscoprire l’istinto primordiale a scrivere anche all’interno delle organizzazioni.

Questi giorni leggo spesso richiami alla necessità di fermarsi, di trovare spazi per riflettere, per pensare, perfino il candidato alla presidenza degli Stati Uniti d’America Obama dichiara, in una recente intervista pubblicata sul Corriere della Sera di aver inserito nella sua agenda personale dei momenti di pausa dedicati alla riflessione.
Io condivido pienamente quest’idea e trovo indispensabile “istituzionalizzare” questi momenti anche all’interno delle organizzazioni, mi spiego meglio, penso che nella definizione dei vari processi aziendali si debba tener conto anche di questi spazi, di questi tempi, portando alla luce, rendendo vivi, quelli che troppo spesso citiamo come tempi morti.
Ho inoltre spesso legato questi momenti alla scrittura, perchè niente come l’atto di scrivere ci costringe a pensare e, soprattutto, a ripensare.
Ho trovato illuminante il brano di David Grossman riportato da Giulia Crivelli nella rubrica L’ULTIMA PAROLA su Nova24del 31 luglio, un brano tratto dal libro “Con gli occhi del nemico”, breve saggio pubblicato da Mondadori in cui Grossman riflette sul valore della letteratura e sulla difficoltà di “raccontare la pace in un Paese in guerra”.
Scrive Grossman: “
Se mi chiedeste di descrivere i caratteri che trasformano una persona in uno scrittore parlerei, per prima cosa, del potente impulso a creare delle storie; a organizzare entro il contesto di una trama quella realtà che non di rado risulta caotica e incomprensibile; a trovare in tutto ciò che accade i nessi evidente e quelli occulti, capaci di dare un significato particolare; a evidenziare in ogni evento i tratti “avvincenti”, e a farvi spiccare i “protagonisti”.”

Capirete che già questo incipit potrebbe essere facilmente trasformato in manuale d’istruzione per la narrazione organizzativa, Grossman nel suo elenco riporta infatti tutti gli elementi di un efficace relazione: contestualizzazione, legami e relazioni, senso e significato e persone coinvolte. (Nella definizione di nessi evidenti e occulti, ritroviamo Weick che in “Organizzare” ci ricorda come sia fondamentale, nell’analisi organizzativa, far emergere le “consuetudini”.)

Del brano vorrei inoltre sottolineare anche quest’altro passaggio: “Ovviamente tra le cose che trasformano una persona in uno scrittore menzionerei anche il desiderio di comprendere, attraverso la narrazione, il mondo e l’uomo, in tutti i suoi aspetti, contraddizioni e illusioni; e si può aggiungere anche l’aspirazione che lo scrittore nutre di conoscere se stesso, di dare voce a tutte le correnti che passano impetuose dentro di lui. Chi non ha in sé questo desiderio, questo impulso primario, è difficile che sia capace – sempre che lo voglia – di sostenere quell’immenso sforzo spirituale che lo scrivere comporta.” .
In questo caso possiamo leggere nelle parole di Grossman l’opportunità, nell’atto dello scrivere, di fare un bilancio personale, un’autovalutazione sulla quale costruire un proprio piano di miglioramento, indispensabile per una costante crescita professionale, esprimendo e valorizzando tutti i nostri talenti.

E’ su quest’ultimo movente dello scrivere, citato da Grossmam, che voglio concludere: “il movente di cui parlo è l’aspirazione a rimuovere, volontariamente, ciò che mi difende dall’altro. L’aspirazione ad abbattere quella parete divisionario, per lo più invisibile, che separa me dal prossimo (chiunque egli sia), verso il quale provo un interesse fondamentale, profondo; l’aspirazione a espormi in tutto e per tutto, senza alcuna difesa, di fronte alle personalità e alla vita di un altro individuo, alla sua interiorità più segreta e autentica, primordiale.”
Scrivere per aprirsi e per comprendere meglio le ragione dell’altro, quale grande medicina per le nostre organizzazioni.

Massimo Piazzi.

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