28.9.07

Libriccini in pausa pranzo

L'altro ieri, pausa pranzo, faccio un giro in cerca di un regalo per mia moglie. Libreria aperta. Vai. "Libri e caffè", l'insegna. Capisco l'antifona: ti fanno sedere, cafferino, sorrisino, giri tra gli scaffali, sfogli, mica uscirai a mani vuote. Beh, uomo avvisato.

Sono uscito senza regalo, ma con un bicchiere di prosecco e una fetta di torta di verdure (sorry, non riesco a chiamarle quiche, mi fa troppo snob) mi becco quattro libriccini da gustare nel week-end: una favola provenzale, un atto unico teatrale, un ricettario di grandi scrittori e soprattutto uno, che non ha resistito fino al week-end: La nobile arte dell'insulto, del cinese Liang Shiqiu. Vivissimamente consigliato a chi voglia scoprire le similitudini tra arti marziali e strategie della parola.

Ganzi, questi dei libri con il caffè. M'incuriosiscono. Vado a vedere il sito. Poche righe, e mi conquistano. Sfido, la voce è quella di Calvino: "I libri sono fatti per essere in tanti, un libro singolo ha senso solo in quanto s'affianca ad altri libri, in quanto segue e precede altri libri. Così è stato fin da quando i libri erano rotoli di papiro che s'allineavano sugli scaffali delle biblioteche schierando i loro cilindri verticali come canne d'organo, ognuno con la sua voce grave o delicata, baldanzosa o melanconica. La nostra civiltà si basa sulla molteplicità dei libri; la verità si trova solo inseguendola dalle pagine d'un volume a quelle d'un altro volume, come una farfalla dalle ali variegate che si nutre di linguaggi diversi, di confronti, di contraddizioni».

26.9.07

Google Presentations: una Rete di PowerPoint

Lavorare a distanza, simultaneamente e senza interferire l’uno con l’altro, alle bozze di una presentazione, all’impatto grafico o alla sequenza delle slide.

Con Google Presentations le presentazioni, create da zero o importate da PowerPoint, possono essere editate, condivise e pubblicate utilizzando l’interfaccia di Google Docs.

I partecipanti possono sfruttare anche Google Talk per dialogare a voce o attraverso una chat di testo mentre guardano la presentazione.

25.9.07

Tempi di Attesa – OLTRE LO SCHIFO

Mi è tornata in mente durante l'ascolto di una conversazione la divertente ironia di Stefano Bartezzaghi dal titolo Schifo, commentata in questi spazi da Ale il 24 agosto:

http://www.magiadellascrittura.it/2007/08/schifo.html

L' espressione "mi fa schifo", pur senza comportare ogni volta l'intervento di un giudice, ricorre spesso nelle nostre conversazioni; direi più spesso di predicati come: è buono, piacevole, gustoso, gradevole. E' un'esclamazione che si sente perfino a tavola, dove un tempo era bandita da tutte le persone di buon gusto: si capisce che nemmeno i momenti di piacere allontanano dalla nostra mente i pensieri negativi.

Indipendentemente da quanto sentenziato dai tribunali, le buone maniere sconsigliano di dire a qualcuno che ci fa schifo, perché è abbastanza probabile che quello si offenda; nel qual caso, se ci atteniamo a quanto predicano gli esperti di comunicazione, sarebbe compromessa la stessa relazione e quindi la valutazione serena di ogni successivo messaggio.

Eppure l'incauta offesa potrebbe nascondere un'indicazione interessante per l'interlocutore: magari uno stimolo al miglioramento di sé, non tanto nell'aspetto, quanto nel comportamento. Anche se nella Storia non si contano i casi di innocenti perseguitati, è raro in un diverbio che l'offeso sia del tutto estraneo alla dinamica che culmina con parole di quel genere.

Penso all'epoca in cui molti di noi si lasciavano crescere i capelli come i Beatles o, secondo altri punti di vista, come un cane da pastore bergamasco. I genitori ci dicevano: "Se ti credi bello, tieniti pure i tuoi peli lunghi, ma cerca almeno di non fare schifo!". I nostri vecchi, che avevano orecchiato Adolf Hitler piuttosto che Milton Erickson, si impegnavano a modo loro nella ricerca di perifrasi e spesso ottenevano come coerente risposta, al momento, un prolungato ringhio belluino.

Dopo tuttavia, vuoi perché l'incomunicabilità generazionale non era tanto profonda quanto noi lamentavamo, vuoi perché temevamo che l'olezzo delle chiome si alleasse con l'indomabile acne giovanile e annientasse il nostro credito presso le compagne, a ogni buon conto andavamo a lavarci bene la testa.

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La magia del Web 2.0

“Meglio il logo A o il logo B?”
“Il nome originale o quello nuovo?”
“Quale di questi slogan funzionerà meglio?”

Almeno una volta, sarà capitato a tutti noi di chiedere consiglio a collaboratori, amici e parenti.
Ma ora possiamo sentire il parere di un campione molto più ampio: la rete.

Infatti, è appena nato un servizio di comunicazione e marketing per fare sondaggi e dare suggerimenti creativi, sotto forma di sito web 2.0.

Puoi inserire un sondaggio ed esaminare online le statistiche di voto della community di “creativi”.
Puoi richiedere consigli per creare uno slogan o una campagna.
Ogni utente potrà dare il suo contributo.

Gli inventori?
Ugo Canonici, presidente di Cleis SpA, Club dell'Osso e di C3, direttore della rivista DM&C, docente univaritario, e coautore de La Magia della scrittura e Pietro Montelatici, esperto nello sviluppo di software d'intrattenimento.

Il nome del sito?
Una richiesta che puoi accogliere.
Per suggerire il nome, basta andare qui e il gioco è fatto.

E vinci anche dei premi!

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24.9.07

Per te, imprenditore ed esperto di comunicazione

"Il Diversity Management è un processo aziendale di cambiamento, che ha lo scopo di valorizzare e utilizzare pienamente il contributo unico che ciascun dipendente può portare per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Questo contributo scaturisce dalla possibilità della persona di sviluppare e applicare, all'interno dell'organizzazione, uno spettro ampio e integrato di abilità e comportamenti che riflettono il suo genere, la sua razza, la sua nazionalità, l'età, il background e l'esperienza."


Il 28 settembre alle 11.00, a Milano, all’interno di Dal Dire al Fare, Il Salone della Responsabilità Sociale d’Impresa, sarà possibile partecipare al laboratorio:

Diversity management: le “azioni positive” nel mondo delle imprese,

a cura di UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) – Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri in collaborazione con Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana).


L’ingresso è libero. Bisogna solo confermare la presenza a:

Paolo Carone
Koinètica - Agenzia per la Comunicazione Etica e Sociale
Tel. 02 6691621 – 02 67078256
info@koinetica.net

22.9.07

Do et das

Quando impari la grammatica - e la vita - da un semplice dialogo in un negozio

Sì lo so che il detto è do ut des: io do affinché anche tu dia. Però preferisco do et das: io do, e dai anche tu. Il tuo dare non è lo scopo del mio dare: mica sono così braccino corto, dio bono, che mi scappa qualcosa dalle mani solo perché conto che poi succeda lo stesso a te. È il contrario: io do perché sono sono felice che tu possa ricevere qualcosa da me, a prescindere dalle tue intenzioni; e poi, come una magia, succede che doni anche tu, con la stessa semplicità.
Del resto, ut = affinché, congiunzione con funzione finale, introduce proposizioni finali, in cui è espresso lo scopo dell’azione; et = e, congiunzione con funzione copulativa, coordina elementi di uguale valore grammaticale in una proposizione, o proposizioni di uguale valore sintattico in un periodo. Potenza dei connettivi!
Beh, ho avuto una lezione su questo tema, ieri, a Torino, in un negozio Montblanc.

*** *** ***

Tutti abbiamo qualche vizio. Uno mio è la Montblanc. Riesco a scrivere solo con quella, matita, stilografica o roller, neanche la biro (chissà se è vero, poi, ma mi piace contarmela così). Ieri mattina passo davanti a un negozio Montblanc, a Torino, via Roma. Mi ricordo che ho una penna con il refil che non scrive bene, per la verità non ha mai scritto gran che. Anche mia figlia, cui ho regalato una penna per la maturità, ha il refil che non scrive.
Buongiorno, posso aiutarla? Sì, ho questa penna che... e gli racconto. L’ha acquistata qui da noi? chiede, tono benevolo. No. Sa, fa lui, Montblanc garantisce il roller per 5mila metri di scrittura, il refil biro per 10mila; non mi permetto di parlare di chi non conosco, ma forse in un piccolo negozio i prodotti restano lì a lungo, sa, il prodotto è delicato, una piccola sfera che gira in una piramide senza punta, l’inchiostro che lasciato lì si secca... Beh, me lo cambia? chiedo, sbrigativo, temendo la solita pippa sulla qualità del servizio. Certo: pochi secondi, svita, riavvita, mi chiede di provare il tratto. Ok. Prendo i soldi e mi ferma con un sorriso: è un nostro omaggio. Come? penso, mica l’ho presa qui la penna, che c’entri tu? e faccio due complimenti di circostanza, troppo gentile, grazie mille, e via. Mi tira fuori un biglietto da visita, Salvatore Paggio, boutique manager, e raccomanda: se avesse ancora problemi la prego di informarmene, perché ora io ne sono responsabile. Non ho parole: mi vede per la prima volta, sa che non piazzerà la vendita, ha solo da cambiarmi un pezzo, me lo regala e se ne fa pure carico per il futuro! Lo amo. Uscendo, gli chiedo: fate orario continuato? Certo. Torno con mia figlia, così accetto il suo omaggio e compro il refil per lei. L’aspetto, fa lui. Esco, pensando di ricambiare così la gentilezza (come se comprare in un negozio fosse una gentilezza che fai al negoziante). Bon, passo a prendere mia figlia all’università, pranzeremo insieme, le chiedo la cortesia di venire con me al negozio, lei resiste, ha fame, ti prego, è una questione d’onore, ok andiamo. Bentornato, buongiorno signorina, vediamo la penna? Ripete l’operazione, più sbrigativo, senza conferenze, svita avvita, ecco, dice, anche questo è un nostro omaggio. Ora faccio più resistenza, ma mi rismonta con il sorriso: noi ci teniamo al nostro marchio, e ai nostri clienti. Capito, il Salvatore? neanche ha preso un centesimo, e già ci etichetta come suoi clienti.
Beh, hai ragione, Salvatore. Dove vuoi che vada, la prossima volta, a comprare una Montblanc?

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19.9.07

Il paese, un giornale e la voglia di cambiare

Spero che Ezio Mauro, direttore di Repubblica, non mi denunci perché gli ho copiato il titolo: potevo troverne qui uno meglio?
Repubblica è il "mio" giornale, da molti anni. Stamattina devo aver fatto una faccia strana, salutando l'edicolante e buttando gli occhi su quella prima pagina così diversa. Lo vedo infatti cambiato, lo sfoglio, una cosa nuova, sezioni nuove, grafica nuova, respiro generale nuovo. Insomma, e il mio giornale? Si sa che i lettori sono abitudinari, gli sposti una rubrica un po' su o un po' giù, gli cambi una testatina, un colorino, e si agitano. Ma non è di questo che voglio dire qui. Segnalo invece la sobrietà di un giornalista che presenta un profondo cambiamento del proprio giornale (da oggi diviso in due parti: nella prima c'è tutta la giornata, nella seconda inchieste e dossier), con 59 asciuttissime righe di editoriale, neanche 2mila battute.
Il titolo: 9 parole, e già tre soggetti così forti, con quel verbo finale che mette in moto il pensiero. Primo periodo: 34 parole, solo 2 aggettivi.
Se penso ai fiati alle trombe che spesso mettiamo su per ogni più frivolo starnuto, mi viene voglia di starmene zitto per un po'.

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Vestiti di sensi

Ora, che un musica possa evocare immagini, è noto. Che una sequenza di un film possa fartelo sentire davvero il caldo torrido o il freddo polare, o il piacere di un contatto amoroso, va bene anche quello. Che insomma l’universo dei sensi sia quella meravigliosa enciclopedia comune degli esseri umani, ok, è oggetto dei nostri studi da anni. Ma che una giacca, una camicia, un pigiama, possano legarsi nella nostra mente a suoni, fragranze e sapori, beh, mi era nuova. L’ho scoperto ieri sera, all’inaugurazione di un atelier milanese.
Esperienza insolita, guidata dai ragazzi dell’Istituto dei ciechi di Milano, organizzatori del famoso dialogo nel buio.
Vai a dire tu, che le parole sono solo parole, e che non c’è più nulla da inventare.

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17.9.07

Settembre, andiamo

Dice bene l’amico e collega Emiliano:
settembre è un capolinea. Più che il capodanno,
scappella la capote del futuro
che – trattandosi di stagione autunnale – si ignora quanto soddisferà.
Un piede qui l’altro oltre, tra il teporino e il brivido,
Vergine mobile e Bilancia cardinale, strascica nell’estate
gli ultimi gangli sudati, e già si sente
il bruciaticcio delle castagne.

Questa domenica in settembre, mi verrebbe da dire
se non fosse che è già lunedì, ma la memoria mi soccorre subito
con altre consapevolezze e voci

settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull’età,
dopo l' estate porta il dono usato della perplessità...


E, che strano, ci penso solo adesso:
settembre è un mese in simpatia degli scrittori,
e basta fare un giro su un motore di ricerca per vedere quanti,
quanti versi forgiati, e quante note.

Perché (beh, già, ma tu quanti anni hai…?) mica potrai
dimenticarti di quel 29 spasimato da Battisti,
o di certe mattine che… still can make me feel that way
e poi Venditti, Carboni, De Gregori, e gli altri.

Ma su tutti, ancora lui ti coglie in segno, e quasi sembra di vederlo
a Pàvana, in odor di vendemmia, che prova a convincerti
che in settembre

ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità,
come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità...


Ma tanto mica ti deve convincere, ché già lo sai.
E allora anche certe lettere ammuffiscono con gli altri deja-vu.
.

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13.9.07

Scrivere oltre

Milano, 11 settembre 2007: assegnati i premi Enzo Baldoni


Primo premio sezione Radio e Televisione a Angelo Miotto e Matteo Scanni per il documentario “Cronache Basche”
“Per l’incisività di un reportage che documenta con immagini e testimonianze un conflitto latente e “dietro l’angolo”, quello basco. Una narrazione costruita sulla somma di tante storie, che approfondisce le diverse fasi del conflitto e attraverso le testimonianze personali porta alla luce la complessità della realtà basca”.


Premio sezione Stampa e Agenzia di stampa a Davide Frattini per gli articoli apparsi sul Corriere della Sera
“Per aver testimoniato, con i suoi articoli, la capacità di andare oltre la cronaca, riconsegnando ai lettori le storie quotidiane e comuni di chi vive il conflitto in Medio Oriente. Segno di una curiosità viva, che indaga nelle piaghe di un’umanità percepita come lontana, ma al tempo stesso così vicina”.


Premio sezione Internet a Enrico Piovesana per “Afghanistan, effetti collaterali” pubblicato su Peacereporter
“Per la coerenza di stile e contenuto, per una capacità di scrittura modellata al mezzo che racconta, con una lucidità essenziale, il dramma della guerra in Afghanistan. Costruito attraverso i densi ritratti dei civili ricoverati all’ospedale di Lashkarghan, il servizio riconsegna ai lettori l’impotenza e al tempo stesso la speranza delle vittime del conflitto afgano”.


Premio sezione Fotografia a Loris Savino per i reportage fotografici dal Kenya

"Per la scioltezza con cui riesce a padroneggiare il suo strumento di lavoro. Per essere riuscito a fissare nella pellicola istanti disperati nella loro struggente quotidianità e per la capacità di indagare le molteplici realtà, riuscendone a coglierne l’anima collettiva".

10.9.07

Tempi di Attesa – BELLEZZA E NOSTALGIA

Esco dall'esposizione "Les années Grace Kelly", al Grimaldi Forum del Principato di Monaco.

http://www.grimaldiforum.com/fre/culture/expo_info.aspx?ID=26&p=1

Sento il bisogno di scovare uno scorcio sul mare per liberare lo sguardo fino all'orizzonte. In questo paradiso fiscale del Mediterraneo la vista del mare non pare tanto scontata.

Lascio che decantino i sentimenti suscitati dalla visita: una specie di immersione nei numerosi indizi di una vicenda conclusa da 25 anni, ma ancora troppo recente per essere ripercorsa con distacco da chi non è più tanto giovane. L'esposizione è accurata, ricca, misurata negli inevitabili toni celebrativi, rispettosa verso l'identità della persona.

La magia propria del linguaggio audiovisivo, capace di riprodurre tanti aspetti fisici degli eventi della vita, rende quasi palpabile la bellezza di questa donna, fino a suscitare nostalgia per la sua mancanza. Nelle forme molteplici della bellezza è davvero raro trovare riunite, come in questo caso, l'armonia perfetta e discreta, la dolcezza del sorriso, l'intensità dello sguardo.

Interessanti per gli appassionati di cinema le sezioni dedicate al periodo hollywoodiano e alle tre famose interpretazioni per Alfred Hitchcock: Il delitto perfetto e La finestra sul cortile ('54), Caccia al ladro ('55), durante le cui riprese Grace incontrò il principe Ranieri. I documenti mostrano che il maestro londinese ottenne ancora l'assenso della sua beniamina, con l'approvazione dello sposo, per la parte di protagonista in Marnie; ma una didascalia abilmente vaga suggerisce che le relazioni diplomatiche con il governo francese indussero l'attrice a limitarsi definitivamente al ruolo di principessa.

Verso la fine del percorso espositivo campeggia una frase nella quale Grace confida di aver sofferto gli obblighi del suo stato, non tutti prevedibili per lei, e di aver così acuito la propria sensibilità per le sofferenze altrui. Sono convinto che la sua empatia di artista l'avrebbe avvicinata agli altri anche se, di quando in quando, fosse tornata sul set per il maggior piacere di noi spettatori. Ma la storia non ammette "se".

Mi soffermo sui suoi primi piani inquadrati accanto ai volti di James Stewart e di Cary Grant, incantato come un bambino fra le illustrazioni di una favola. Mi sembra di poter comprendere la nostalgia di quella donna, per le straordinarie creazioni alle quali ha partecipato, per la bellezza artistica alla quale ha potuto dare corpo. L'arte, con la sua capacità insostituibile di ricreare la vita, di renderla più vicina e comprensibile a noi stessi, offre avventure stupende a chi ha il privilegio di creare.

Resta poi la nostalgia: quella che ci accompagna dopo ogni incontro con la bellezza, quella che per fortuna ci spinge a cercare il mare aperto o il panorama dalle cime.

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5.9.07

"Una lettera non dice quello che vuol dire solo con la scrittura"

A dirlo è Esther, vecchia ebrea, personaggio del romanzo "Il mio nome è rosso" di Orhan Pamuk, un romanzo per così dire corale, nel quale ogni capitolo è narrato da un personaggio diverso. Esther deve consegnare una lettera di Sekure, giovane donna sposata con un cavaliere che però non è più tornato dalla guerra, a un suo antico innamorato, Nero Effendi. Nella lettera, la donna gli scrive di non farsi più vedere; ma Esther, che pure è analfabeta e, per carpire il contenuto della missiva, deve farsela leggere da altri, elenca una serie di ragioni per cui in realtà Sekure non vuole affatto che Nero non torni (doppia negazione...). Perché, a parlare, stanno gli elementi extratestuali o paratestuali. Sta la grafia, il leggero profumo sparso (apposta? per caso?) sulla lettera, la forma e il numero delle piegature, il disegno allegato... Ed allora come non concordare con Esther, quando dice "Si può leggere la lettera anche annusandola, toccandola, palpandola, proprio come un libro. Perciò le persone intelligenti dicono, leggi, vediamo cosa dice la lettera. Le persone stupide invece dicono, leggi, vediamo cosa scrive".
Già, tra lo scrivere e il dire, a volte, c'è più di un mare di mezzo.

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4.9.07

Non si entra qui se non si è geometri*

La mente è ora più che mai abituata a procedere per calcoli:
quello che già Heidegger individuava come pensiero
“solo capace di far di conto”. Procede per convenienze,
ma si perde tutto il resto: bellezza, etica, onestà, responsabilità.

Inizia così Umberto Galimberti al Festival della Mente di Sarzana.
E prosegue: questo è il frutto di una mentalità di impianto economico:
significativamente nasce col concetto di ratio come calcolo
delle equivalenze: 1 vitello = x tacchini?
Insomma, la logica del redde rationem.
Anticamente esisteva lo scambio simbolico: il dono del capo tribù a usura
(chi più può, più regala), in un processo a rialzo che esprimeva il potere,
una sfida tra soggettività (ancora oggi implicitamente presente nel dono).
Con l’intervento della ragione economica, le soggettività fuoriescono
dal gioco e vi si sostituiscono i valori delle cose.

Quest’espulsione della soggettività si afferma peraltro con la filosofia
platonica: soggettività e mondo sensibile sono considerati fallaci,
l’approdo a impersonali idee e numeri garantirà l’auspicata astrazione.

Perciò il linguaggio simbolico, nato da immagini e sensibilità soggettive,
e quindi caratterizzato da una componente emotiva forte
ma limitata in quanto a universalità comunicativa, va eliminato:
significativo è il disprezzo che Platone manifesta, per esempio,
verso i poeti. Ciò che non è accettabile in loro è la contaminazione
dei significati: la Luna sarà la Luna, e non altro.

E Galimberti sintetizza la rigorizzazione che di questi principi fa la scienza,
dal Cinquecento in poi, in una progressiva esclusione del mondo della vita.
Fino ad arrivare alla tecnica, cui sudditamente guarda l’economia,
guardata a sua volta dalla politica, guardata infine dall’essere umano,
anello debole in una catena che si ispira a funzionalità ed efficienza,
e che chiaro propugna l’assioma della sostituibilità.
Così, nuovi uomini parcellizzati, nuove patologie (è il senso
di insufficienza, del non-farcela, del non-essere-all’altezza
la prima causa delle attuali depressioni), e via dicendo.

È un peccato non riportare qui tutta la lectio (e spero che gli organizzatori
la mettano a disposizione on-line, come già hanno sapientemente fatto
per gli interventi degli scorsi anni), ma tra tutto quello che Galimberti
ha detto e merita di essere meditato
scelgo di chiudere con questa sua riflessione:
la tecnica e le sue leggi circoscrivono pensiero e linguaggio:
rifiutate soggettività e sovrabbondanze, e sulla via di estinguere
il pensiero problematico, ci si arena sull’intelligenza binaria:
sì-no, al limite anche: non so.
Che sul pensiero binario si organizzino anche maturità, prove di ingresso
all’università, etc. etc. è –del resto- questione calda.
A farne le spese, oltre all’apparato emotivo rattrappito
(e qui si aprirebbe un bel link a certo modo di fare notizia)
sta la nostra complessiva capacità di comunicare
con noi e gli altri, e con le culture altre,
per cui il pensiero calcolante non basta:
recuperare il pensiero simbolico è accettare e desiderare di capire
come l’altro vede il mondo.
Mica fichi.


* il titolo allude a quanto scritto sul frontespizio dell’Accademia di Platone. Galimberti ne parla anche qui
.

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3.9.07

Quei testi che non riesci a staccartene

Si' lo so, ho fatto un errore nel titolo. Un anacoluto, per la precisione: improvvisa variazione di soggetto.
È che non si sa più come conquistarsela, l'attenzione del lettore, specie in tempi sovraccarichi di informazioni come i nostri, il web, le mail, le news sul telefonino e i mille altri disturbi alla concentrazione.

Un mio amico di Udine - grazie Oliviero! - ci segnala una tecnica originale, trovata in un giornale sportivo. Tralasciando l'argomento, desta attenzione il modo in cui è scritto: una serie di appunti per poi elaborare un articolo vero e proprio, che invece costituiscono l'articolo vero e proprio.
(vedi pdf allegato, 5,5 MB >/appunti articolo.pdf)

Certo, non consiglierei di abusare di questa tecnica, ma è di certo una di quelle da tenere nel repertorio, magari anche sperimentando le varianti possibili.

Il bello è che leggi le prime righe, resti un po' sorpreso, mica ti aspetti degli appunti in un giornale, poi capisci il trucco, sorridi, provi simpatia, ed è come se ti sedessi a fianco dell'autore. "Ok, dai, scriviamoli insieme", quasi quasi pensi. E te lo bevi.
E il gioco della relazione è fatto.