30.6.05

Le foto della presentazione di Milano


Abbiamo visto cose...

29.6.05

O come Organizzazione

Ecco l'opinione di Gerry McGovern. Voi, cosa ne pensate?

KNOWLEDGE MANAGEMENT: NO SUCH THING AS KNOWLEDGE WORKER
For those who manage well, there is a bright and prosperous
future. For those who are managed, the future-certainly the
income prospects-are not so bright.
There is no such thing as a knowledge worker in the sense that
we have agricultural or factory workers. All knowledge work is
first and foremost a management task. Of course, strictly
speaking, management is a type of work. However, in knowledge
work, everyone is a manager to one degree or another.
Right now, you may not in fact be managing people. You are,
however, managing your time, managing content, and perhaps
managing other resources.
In a knowledge organization, the role of management changes.
Management becomes less about setting and policing rules for
workers and more about establishing strategy, setting goals,
showing leadership, and measuring results.
Knowledge management is less about managing people and more
about giving them the right goals, the right motivation, and the
right tools, and clearly articulating how success or failure
will be measured.
As a knowledge manager, you should look to your manager for the
broad strategic direction and you should look to yourself for
the ability to manage your day. You must develop this crucial
skill because, if you're waiting to be told what to do, then
your job is in serious danger of being automated or outsourced.
Let's say you're part of a web team and your day-to-day job
involves turning print documents into PDFs and putting them up.
That is a job that requires very little skill or thinking. That
is a job that could just as easily be outsourced or offshored.
If you are a knowledge manager, on the other hand, you would
stand back and ask the fundamental question: What is the task?
The task is not to put stuff up on your website. The task is to
effectively communicate with your readers. A knowledge manager
would question whether print content is truly effective on the
Web. A knowledge manager would explore what better ways there
are to publish this content on the Web.
You send and receive many emails every day. As a knowledge
manager, you need to constantly question whether you are
effectively communicating in your emails. Are your emails being
ignored or deleted? That's a big problem. How well do you
organize the emails you send and receive? How easy is it for you
to quickly find an important email?
Are your presentations effective? Do they make people more
knowledgeable? Do they make them more likely to act in a way you
want them to? Are your reports effective? A knowledge manager is
always asking this question: Am I effective?
We are all managers now. In a new area such as the Web, we may
in fact have to manage our managers. You need to manage your
manager's expectations of what the website can practically
achieve, because you probably know a lot more about the real
potential of your website than your manager does.
There isn't a great future for those who do not rise to the
knowledge management challenge. As organizations continue to
automate, outsource, and offshore, those people who remain will
become invaluable to the success of the organization. They will
be the knowledge managers.

23.6.05

Una casa accogliente

Cristiano / Zio Burp
grazie dei tuoi accordi.
Qui, di seguito, i miei.
Una dei 49 ;-)


Milano - 21 giugno - Casa della cultura.
Dopo la Fiera del libro, ci siamo incontrati lì.
Accorrete numerosi, invitava Mafe, e l’abbiamo ascoltata:
eravamo moltissimi, sala gremita, persone all’ingresso, protese.
Tutti a sfidare la temperatura di una neonata estate,
rovente.
Ma presto l’atmosfera si muove d’aria nuova:
Si dice che Gutemberg
cambia il modo di capire
Con le presse a Norimberga
sta stampando l’avvenire
Sulla carta poesie, tesi, satire, eresie…


Alessandro Lucchini ci accoglie così, parole e musica.
E inizia un viaggio, carovana di amici, dove le voci si incalzano tra gioia e improvvisazione.
Dei 49 autori siamo molti in sala, e alcuni prendono la parola,
raccontano il proprio contributo,
confrontano i punti di vista.
Quarantanove autori, Quarantanove racconti: parola di Hemingway.
E proprio di punti di vista ci parla il brano scelto da Alessandro: un uomo
e un leone.
Nel testo di Hemingway, la prospettiva di entrambi:
e tu, che sei uomo o donna, ti trovi a pensare, tra quelle righe, come il leone.
Sei il leone. Magia della scrittura.
Sì, è uno dei concetti chiave della nostra ricerca, e così, di rapport in rapport,
ci ammalia l’intreccio tra corpo e linguaggio di Stefania Zenato,
anima la verve politica di Claudio Maffei,
ammicca la provocazione di Chiara Zuccalà,
affascina la metafora di Consuelo Casula.
Orchestra e direttore in sapida armonia: Alessandro
raccorda gli interventi, li correla ai capitoli, arricchisce le prospettive.
È poi la volta di Ugo Canonici, e riflettiamo con lui sul silenzio.
Di Paolo Carmassi, e dello spirito di condivisione che impronta la Palestra di scrittura.
Di Mario Conti, che ci cattura su parola e immagine.
Quindi Paolo Ferragina: lui non è tra i 49,
ma il suo contributo evoca altri lidi per la nostra ricerca:
nel mare del web il messaggio nella bottiglia arriva grazie ai motori di ricerca,
in un avvincente rapport tra uomo e macchina.

Sono trascorse due ore,
e siamo tutti lì, incantati.
Poi, colpo di scena:
Mario e Alessandro, due chitarre e un’armonica. Siamo ai saluti,
e loro ci abbracciano così:
… So just look at them and sigh and know they love you. Teach your children.

Parole, musica, emozioni.
Che altro aggiungere?
Questa è magia.

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La magia della scrittura nella morsa della calura della casa della cultura

Riceviamo e volentieri pubblichiamo :-)

Gentile dott. Lucchini,

no aspetta. Dopo averti visto e ascoltato ieri, mi scappa un "tu" di simpatia, che spazza via ogni formalità e che spero ti sia gradito.

I tuoi libri e la tua attività la conosco da qualche anno, grazie a Luisa Carrada. Il libro nuovo l'avevo acquistato da un mesetto e avevo cominciato a sbirciarlo. Ieri, come avevo anticipato sul mio blog, avevo deciso che sarei andato a conoscere personalmente questa curiosa ragazza d'altri tempi che mi fissava con la penna in mano.

E vado a ruota libera con qualche impressione, che poi, in qualche modo filtrata, posterò sul blog.
Sinceramente, all'inizio quando hai detto che eri emozionato ho pensato che fosse un po' una palla e un po' un trucco di scena. Figuriamoci se questo qui che fa il comunciatore, scrive libri e fa corsi, ma figuriamoci se si emoziona a una presentazione.
Poi, le tue parole sul senso personale - oltre che professionale - di questo progetto mi hanno spiegato la tua emozione. Il discorso sui 49 autori che sono in parte maestri, in parte allievi, in parte colleghi e che poi si mescolano tutti insieme, e si conoscono, e si scambiano competenze e ruoli… Insomma, lì gettando i sandali e mettendomi proprio nelle tue scarpe, alla fine di un'impresa simile sarei stato orgoglioso e giustamente emozionato.

Non ho tantissima consuetudine con le presentazioni di libri, ma quanto basta per verificare che la vostra aveva notevoli punti di forza. No autori imbalsamati alla scrivania, no sonnolento slow, grande ritmo e giusto istrionismo (sarà perché con la barba corta mi ricordi un poco Robin Williams?), movimento in scena, coralità coordinata, ascolto e scambio di imput.
Soprattutto ascolto.
Una specie di interplay jazzistico: accompagno il tuo assolo con le orecchie ben aperte, raccogliendo le tue idee e riproponendotele dal mio punto di vista e con la voce del mio strumento. Se tu e gli altri che stanno suonando con noi fanno lo stesso, allora nessun dubbio: si va lontano.
E ieri c'era del gran interplay. Dopo ogni intervento c'era sempre un tuo commento che agganciava e aggiungeva e poi procedeva. A volte i tuoi colleghi aggiravano le tue domande e rispondevano anche solo con una battuta al tema che li aveva preceduti.
E poi insomma: la prima presentazione di un libro che si chiude con una vecchia canzone di CSN&Y.

Quindi complimenti a tutti. Ora leggerò il libro, cercando di collegarlo alle voci ascoltate ieri e mettendo da parte ogni irrazionale timore per concetti come PNL e
cenestetico. E continuando a chiedermi che tipo sono io: visivo? Auditivo? Cenestetico?

Guardo su e vedo molte righe e penso che volevo essere breve. Ecco, diciamo che non ne ho avuto il tempo.

Saluti a te e agli altri 49 e buone cose a tutti
Cristiano / Zio Burp

20.6.05

A come “Ancora intervista”

Prendo spunto dall’intervista di Roberto Sanna ad Alessandro Lucchini, pubblicata in un post precedente, per parlare appunto, di interviste.

Mi piace come Laura Lilli descrive il processo di scrittura di un’intervista, che non si esaurisce nella trascrizione testuale della testimonianza raccolta, ma è anche taglio e modifica, fino a cucire qualcosa di nuovo ma aderente a quello che è stato detto durante l’incontro.

“Ora”, dice Laura Lilli, “dipende solo da me che la grande bolla di sapone non svanisca. Ora, insomma, devo scrivere. Dovrò far rivivere la durata di quelle pause, quell’improvvisa ombra di dispetto sul volto, quel desiderio di spiegarsi meglio, o invece quell’indifferenza, quella cortese sopportazione, quell’evidente fretta di concludere. Accorgimenti letterari e di stile fanno la differenza tra l’intervista tout court e l’intervista scritta. Quest’ultima, se ben fatta, è letteratura”.

Se poi in pochi minuti riesci ad entrare nel tuo interlocutore e mettere sulla carta, sparse qua e là tra domande e risposte (come perle e conchiglie alternate in una collana) le sfumature e i dettagli che lo definiscono, l’intervista, oltre che letteratura diventa “umana e sensibile”.

Ecco l’attacco dell’intervista a Gae Aulenti, tratta dal libro “Voci nella città”, di Renata Prevost: “Gae Aulenti è un’ostrica per la quale ogni domanda personale assume l’aspetto di un coltello che voglia violare l’interno della conchiglia. E’ dolce, ma la sua riservatezza è difesa da un atteggiamento granitico”.

E un estratto dell'intervista a Carla Fracci: “E’ leggera, Carla, morbida e lieve come un soffio d’amore. L’amore per lei infatti è tutto” […] “Si commuove con la musica, quando il pubblico partecipa, e si arrabbia se le mettono le cose in disordine. Il suo più grande pregio è che tratta ogni sua esibizione allo stesso modo: che sia la Scala o una serata di beneficenza o una piccola serata in un luogo sperduto, lei dà ogni volta il meglio di sé. E’ il rispetto per il pubblico: “Quando mi dicono che ho donato emozioni, io sento che sono servita a qualcosa”.

La Magia in tournée a Milano

17.6.05

Scatole

Pian pianino questo sito cresce, grazie al contributo di chi, come te, è appassionato di parole e del pensiero che c'è dietro. L'ultima aggiunta è la sezione "Scatola", che abbiamo pensato piena di idee, spunti e riflessioni eterogenei, con la creatività non fine a se stessa come unico filo conduttore.
L'esordio non poteva essere dei migliori, a mio parere: le Favole di Sabina (in collaborazione con Alessandro) e uno studio decisamente interessante di Annalisa su "Scrittura e Consapevolezza". Entrambe scaricabili e da diffondere come un virus buono :)

16.6.05

A che gioco giochiamo

"Che ci faccio io qui? Costrizione o collusione?
Che ci faccio io qui? E' il retropensiero di chi ogni mattina va in ufficio.
Il segreto è riuscire a giocare insieme, fra giocatori, fra chi gioca e chi propone o dirige il gioco, fra capi e collaboratori.
I giochi spesso sono giochi di potere.
Dove non si gioca, il potere è conferito da un'autorità al di fuori del gioco. C'è chi esercita il potere e chi lo subisce (costrizione).
Dove si gioca insieme (collusione) il potere è conferito da tutti quelli che giocano. Ha potere chi gioca bene e vince rispettando le regole condivise..."

Vi segnalo questo bell'articolo di Umberto Santucci dedicato al rapporto tra gioco e lavoro. Stimolante anche per una riflessione sull'uso del linguaggio, scritto e parlato.
http://www.managerzen.it/inesperti/santucci/giocare.htm

12.6.05

La bambina che amava Tom Gordon

“Il mondo aveva i denti e in qualsiasi momento ti poteva morsicare.
Questo Trisha McFarland scoprì a nove anni.

Alle dieci di una mattina dei primi di giugno era sul sedile posteriore della Dodge Caravan di sua madre con addosso la sua maglietta dei Red Sox (quella che ha 36 GORDON sulla schiena), a giocare con Mona , la sua bambola.

Alle dieci e mezzo era persa nel bosco.

Alle undici cercava di non essere terrorizzata, cercava di non pensare:questa è una cosa seria, questa è una cosa molto seria. Cercava di non pensare che certe volte a perdersi nel bosco ci si poteva fare anche molto male. Certe volte si moriva.

Tutto perché avevo bisogno di fare pipì, pensò…”

In poco più di 10 righe è descritto tutto ciò che serve per inquadrare la scena, capire cosa sta succedendo e intuire quello che succederà, sentire cosa prova la piccola protagonista.

E’ l’inizio del libro “La bambina che amava Tom Gordon”, di Stephen King.

King è un genio. Lo scrittore vivente che ammiro di più.
Si, io, che scrivo favole e mi spavento per lo squalo del cartoon di Nemo, amo King.

Qualcuno lo ha definito "un’enorme macchina che aspira materiali diversi e anche molto eterogenei, e sputa fuori creazioni nuove. Prende fatti di cronaca, pezzi della storia politica del suo paese, oggetti della vita quotidiana semplici e banali come un hamburger McDonald, e li mescola con i Grandi Archetipi, le figure mitiche che stannoalla base della maggior parte delle storie dell’orrore moderne. Il risultato è che ciò che esce dalla cucina di King è un sapore che prima non c’era…e il cuoco, in questo caso, è un’enorme goloso egli stesso".

"Dentro ogni scrittore e lettore di storie che fanno paura c’è un bimbo che HA paura, e allo stesso tempo gode selvaggiamente nel fare il male, nel distruggere", dice King.

Noi siamo quello che scriviamo?

Io credo di si.

11.6.05

Sensibilmente respiro l’azzurro

Qualche giorno fa leggevo sul MdS,
generoso punto di riferimento per molti di noi,
una citazione dall’ultima canzone di Jovanotti:
Che cosa fai? Vivo. Quando sei in forma? Scrivo.
Mi hanno catturata le domande, suadente gancio
per l’ascoltatore, ma soprattutto le risposte.
Quel binomio lanciato lì, con disinvoltura: vivo e scrivo.
Bello, ma non scontato.
Per il gioco delle contrapposizioni, la mente spazia
ai ricordi letterari: La vita o si vive o si scrive,
Io non sono colui che vissi ma colui che descrissi,
Vissi al cinque per cento, non aumentate/ la dose...
Letteratura? Sì, ho già detto la mia in proposito, però,
e il dubbio permane.
Lo vorrei girare anche a voi: professione a parte (se possibile),
scrivete felici o tristi? perduti o esaltati? onnipotenti o tapini?
Perché, in tanta gioia che -forse- ci accomuna nello scrivere,
si insinua sempre l’ipotesi compensatoria.
Che ne dite?
Io, per un po’ sono qui, che mi dibatto.
Poi penso alla lingua innamorata: le parole
del cuore in orbita, la mente svagata.
Tutti noi –è vero?- frizzanti d’amore
abbiamo la penna (e la vita) leggera.

Sensibilmente respiro l’azzurro,
e tacito il dubbio.
Voi?
;-)

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6.6.05

Sensi, fantasie, e simili...

I nostri sensi

sono accompagnati da altre forme di esperienza, interiori:

fantasie e convinzioni, pensieri e valori

si sviluppano anche in autonomia.

Nascono così i filtri interni

che dirigono i sensi, talvolta fuorviandoli.

C’è il filtro verso che ci sospinge, o il via da che ci allontana:

l’uno muove al risultato, l’altro sfugge al problema.

I filtri sono tanti, almeno 50. Intervengono nella struttura delle scelte,

motivano i processi decisionali, anche linguistici.

Un altro esempio?

C’è il filtro uguaglianza:

mette in luce le sintonie, ama le consonanze, evidenzia gli accordi.

E c’è, per contro, differenza:

adombra distanze, recita distinguo, enfatizza diversità.

Ce ne accorgiamo, tutta la loro carica emozionale

è lì, impronta, nella parola.

Traccia madreperlacea,

sei lì, sei tu.

Poche parole,

e già sei tu.

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2.6.05

Piovono cani e gatti

“It’s raining cats and dogs” (piovono cani e gatti) per dire “piove a catinelle” è forse una delle frasi idiomatiche inglesi più conosciute.

Rende bene l’idea, no? Piove qualcosa di grosso, ti immagini devon rex, gatti persiani, cocker, bassotti e pitbull che vengono giù dal cielo, con la violenza della lotta tra cani e gatti. Hai voglia ad aprire l'ombrello!

Un modo di dire, è una forma di dialogo anomala, entrata nell'uso di una lingua. Spesso usa metafore. E anche se conosci le regole grammaticali e le parole, al significato puoi non arrivarci.

Mi fanno sorridere gli inglesi/americani, coi loro modi di dire.
Sono visivi e cenestesici quanto basta.

“To cool one’s heels” (raffreddarsi i talloni) per dire “aspettare a lungo qualcuno” mi fa già sentire i piedi freddi.

I went to ask mr. Pinzimon for a part in his new Broadway show, but he had me cool my heels outside his office for five hours. Finally, he came out and said there were no more parts available” .

Ho chiesto al sig. Pinzimon se potevo avere una parte nel suo nuovo spettacolo di Broadway. Mi ha fatto aspettare nella sala d’attesa per cinque ore. Alla fine è uscito dall’ufficio e mi ha detto che non c’erano più parti disponibili”...mmmhhh: piedi freddi, e niente parte :(

“To shoot the breeze” (sparare alla brezza) per dire “far quattro chiacchiere", fa presumere che siano proprio chiacchiere “leggere", gossip, o grandi cavolate.

“In a nutshell” (in un guscio di noce) significa “in poche parole”. In effetti, quante ce ne stanno, di parole in un guscio?

E noi? Ne abbiamo un sacco anche noi, di modi di dire, e li usiamo spesso senza rendercene conto:
segnare il passo, bruciare le tappe, far da tappezzeria, fare le belle statuine,
essere la pecora nera, far la parte del leone, giocare in casa,
pendere dalle labbra, essere di bassa lega, lambiccarsi il cervello,
andare a letto con le galline, spaccare il secondo, alzar la cresta, fare il galletto…

Ma NON ne usiamo tanti, che a volte servirebbero a movimentare un po' il discorso o la scrittura:
"far la tara", o "intendersi come i ladri in fiera" parlano da sé,
"fare questioni di lana caprina" è un po’ come shoot the breeze: parlar d’inezie,
"essere un furbo di tre cotte", come se la furbizia si raffinasse con la cottura,
"bacchiare le acerbe e le mature"…e qui mi astengo dal commento,
"venire all’ergo", invece che al dunque,
"viaggiare come un baule", come fanno certi turisti,
"avere occhi di basilisco", occhiacci che fulminano, come quelli del mostro immaginario, serpente a otto zampe con la testa incoronata,
"pesare con la bilancia dell’orafo", come certi precisini,
"sembrare il ritratto della fame", o "magro (e trasparente ndr) come una lanterna", o addirittura "ciucciato dalle streghe", gosh!,
"tant’è suonare un corno che un violino", capire poco delle sfumature di un discorso, di un problema, di un’opera d’arte,
"essere un apprendista stregone", non riuscire a dominare le forze attivate e combinare guai...tanto per restare in tema di magia.

Non mi sono inventata tutto.
Ho preso i modi di dire italiani dal "Dizionario dei modi di dire della lingua italiana", che leggo ogni tanto perchè mi diverte. E quelli in inglese da "Idioms", frasi idiomatiche inglesi e americane.

Beh, adesso posso anche “piantarvi in asso” e andare a dormire.

ciao.

1.6.05

La Magia in tournée

Come promesso, inizia il valzer delle presentazioni: dopo l'esordio a Torino, il 21 giugno Alessandro Lucchini è alla Casa della Cultura ( via Borgogna, 3) di Milano, alle 18.00. A destra è spuntato il Calendario dove via inseriremo le nuove presentazioni, ma anche gli appuntamenti interessanti legati al mondo della scrittura.
Altre novità in arrivo: i link, la Scatola e nuovi capitoli da assaggiare. Dipende dal tempo: se è brutto, troverete tutto venerdì, altrimenti settimana prossima :)