30.7.07

anche in vacanza...

non si può perdere il vizio. Insomma, se leggo: "dal rifugio Vicenza capiscono le grandi impressioni del paesaggio", il dubbio di leggere "Sturmtruppen" o che il traduttore dal tedesco all'italiano non conosca molto bene la lingua mi viene. Come anche la certezza, mi viene, che non abbia lavorato bene quella casa editrice viennese della guida ai sentieri della Val Gardena, da cui cito. D'altronde, se alla stazione di Verona Porta Nuova si parla di "opening hour" per indicare l'orario di apertura, si confermerebbe anche l'assioma che gli italiani non conoscono l'inglese; che non conoscano il francese, già ce l'aveva insegnato Totò. E' che forse ci vorrebbe poco: cura, attenzione, cercare le strade giuste, e le persone giuste anche per farsi aiutare. Pensare, scrivere, correggere. Credo già di averla già sentita... e vale per tutti: italici, striaci, perfidi albionici.

28.7.07

Caffè domani mattina?

243 anni fa, tra amici:

«Consideriamo ch’ella è cosa ragionevole, che le parole servano alle idee,
ma non le idee alle parole, onde noi vogliamo prendere il buono
quand’anche fosse ai confini dell’universo,
e se dall’inda, o dall’americana lingua ci si fornisse qualche vocabolo
ch’esprimesse un’idea nostra, meglio che colla lingua italiana,
noi lo adopereremo, sempre però con quel giudizio,
che non muta a capriccio la lingua, ma l’arricchisce,
e la fa migliore.
[…]
A tali risoluzioni ci siamo noi indotti
perché gelosissimi di quella poca libertà che rimane all’uomo socievole
dopo tante leggi, tanti doveri, tante catene ond’è caricato;
e se dobbiamo sotto pena dell’inesorabile ridicolo vestirci a mo’ degli altri,
parlare ben spesso a mo’ degli altri,
vivere a mo’ degli altri,
far tante cose a mo’ degli altri,
vogliamo, intendiamo, protestiamo di scriver con tutta quella libertà,
che non offende que’ principi che veneriamo.
[…]
Per ultimo diamo amplissima permissione ad ogni genere di viventi,
dagli insetti sino alle balene, di pronunciare il loro buono o cattivo parere
sui nostri scritti.
Diamo licenza in ogni miglior modo di censurarli, di sorridere,
di sbadigliare in leggendoli, di ritrovarli pieni di chimere, di stravaganze,
ed anche inutili, ridicoli, insulsi in qualsivoglia maniera».
[…]

............................... 1764 - Alessandro Verri, «Il Caffè»

Buone vacanze.
.

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24.7.07

"Sentire l'altro": può l'empatia lasciarsi de-scrivere?

Essa si accomodò alla tavola, aggiustandosi con la mano sinistra la manica destra. In piedi vicino a lei, Necliudov osservava in silenzio quella schiena ricurva sul tavolo, scossa di tanto in tanto da singhiozzi repressi. E il suo animo era combattuto da due sentimenti contrastanti: uno, cattivo, d'orgoglio offeso, l'altro, buono, di pietà per lei e per le sue sofferenze. Vinse il secondo.
Provò subito compassione per lei o si ricordò anzitutto di sé, delle proprie colpe, delle basse azioni commesse, simili a quelle che ora le rimproverava? Non avrebbe saputo dirlo. Ma, improvvisamente, si sentì colpevole e nello stesso tempo la compatì.


Lev Tolstoj, Resurrezione, tr.it. Rizzoli 1998, p.344

Sì, lo so, poi ci ha messo più di mille pagine per raccontarci il dramma di Anna Karenina. E più di duemila, togliendoci il fiato, nel continuo alternarsi di amori e di battaglie di Guerra e pace.
Ma qui sono poco più di 100 parole. Magistrali, nel de-scrivere l'empatia, una sfera di esperienze tanto complessa da tenere impegnati nello stesso dibattito biologi, neuroscienziati, psicologi, filosofi e semplici appassionati di questo strano tipo di comunione sentimentale, spesso confuso con la simpatia o con la compassione, e capace di esprimersi i manifestazioni molteplici (amicizia, amore, rispetto, riconoscimento, fiducia, cura...).

Già, siamo mica tutti Tolstoj. Ma saremmo già fuori dal nostro tema, la scrittura, se pensassimo che questa sfera di esperienze può trovar campo solo nelle relazioni interpersonali, quelle vis a vis. O al telefono, nei tanti centri di aiuto telefonico, e non nelle relazioni centrate sulla scrittura. Certo è che poco pare si sia studiato sul tema, finora.
Noi abbiamo cominciato a farlo. Siamo partiti da qui: Sentire l'altro. Conoscere e praticare l'empatia, di Laura Boella, Raffaello Cortina Editore.

Chi ne sa qualcosa, come sempre è invitato a metterlo in circolo. Grazie.

23.7.07

Tempi di Attesa – HARRY POTTER'S JACKPOT

Libreria Porta Romana è un nome che sa di vecchia Milano: quella zona un tempo pittoresca, con le botteghe artigiane e i negozi alimentari affacciati sul corso che dalla circonvallazione delle mura spagnole ancora oggi conduce nell'area di Piazza del Duomo. E' pur sempre lo stesso tragitto dell'antica Via Imperiale, l'ultimo tratto della Via Emilia che accoglieva sontuosamente gli antichi viaggiatori provenienti da Roma.

Nella metropoli che divora se stessa, del vecchio Corso Roma è rimasto oggi solo il percorso stradale, lastricato da un pavé privo di manutenzione, sul quale cadono quasi tutti i ciclisti che si ostinano a evitare il marciapiede. In compenso non mancano le farmacie, mentre i negozi di abbigliamento e di cosiddetta oggettistica, disposti a ranghi serrati, dissuadono presto chiunque voglia azzardare la ricerca di un litro di latte e tre etti di pane. Dai decenni passati si salvano il teatro Carcano, un ferramenta, un ottico optometrista e la libreria che dicevo, con le sue vetrine quiete che sperano di polarizzare almeno qualche sguardo, fra i tanti che rimbalzano da un abito a un paio di scarpe. Questa libreria nasconde la sorpresa di essere anche una casa editrice, dal nome arguto Carte Scoperte. http://www.cartescoperte.it

Mentre parliamo della nuova pubblicazione di Carte Scoperte, una signora chiede l'ultimo Harry Potter e precisa: "Quello in inglese, naturalmente, perché è appena uscito!". In un attimo il libraio le porge la copia e con signorile distacco le comunica: "Costa poco meno di 18 sterline: poco più di 27 euro". Il gioco linguistico pare confermare alla signora che sta facendo un vero affare nell'acquistare un libro di narrativa di grande tiratura, oltre seicento pagine con copertina e sopraccoperta a colori (a dire il vero un po' kitsch), per una somma che supera le cinquantamila vecchie lire, in gran parte destinate all'editore e alla sua ormai doviziosa autrice. "E' l'ultimo della serie, vero?" – chiede conferma la signora. "Dopo dieci anni, così pare...".

Secondo i vari punti di vista possiamo essere rammaricati o soddisfatti che questa saga sia conclusa. E' certo in ogni caso che il giovane apprendista Harry Potter ha già dato prova di arte magica, e nella sua forma più ardua: incantare milioni di persone in tutto il mondo e indurle a ripetere acquisti per anni, a prezzi che non possiamo definire popolari.

19.7.07

Sign of the times

Son 4 sillabe ingiuriose, accorciabili all’occorrenza,
alludono a un certo tipo di rapporti ma, desemantizzata la carica sessuale,
“sono diventate di uso comune ed hanno perso il loro carattere offensivo".

Già Masini lo ricordava e, in una sera di confidenze,
ne apprezzai la valenza liberatoria:
vaffanculo…

Ora che è sospesa l’epochè
e liberati e gaudenti cederemo al gargarismo del velopendulo,
mi chiedo quando:
quando sarà che, incontrandoti, invece che miagolare ciao
ti regalerà un vaffa, e tu sarai contenta?
.

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17.7.07

Gli altri dentro di sé

È un bel modo per continuare a sentirne la voce.
Anzi, ti sembra proprio di vederlo lì, sul palco, lui, con le sue manone,
e quell’espressione sorniona
da dinoccolato inquisitore della vita

un'idea, un concetto, un'idea
finché resta un'idea è soltanto un'astrazione…


Pensi a Milano, invece sei a Viareggio
con Iacchetti, Covatta, Crozza, Panariello, Rossi e gli altri,
tutti gli altri artisti che, anno dopo anno, e siamo al quarto,
il Signor G lo ricordano
portando avanti la tradizione del Teatro Canzone,
il genere creato più di trent’anni fa
da Gaber e Luporini.

E con l’antipasto dello spettacolo diretto da Alloisio,
L’Illogica Allegria,
che riunisce centinaia di artisti di ogni parte d’Italia e guida il pubblico
in un percorso tra palcoscenici naturali, fra sdraio sabbia e pedalò,
pare proprio di vederlo lì, tra la gente, col suo nasone,
e quell’espressione sorniona
di chi la magia della vita la scopre fino in fondo

giro giro tondo cambia il mondo…
.

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15.7.07

In caso d'emergenza, il cellulare ti salva la vita?

Normalmente interrompo le catene di Sant’Antonio senza neppure leggerne il contenuto: apro, do un’occhiata di massima, cestino. Ma quella che ho ricevuto ieri da un amico mi ha davvero incuriosito.

Il testo, che trovate
qui, mi invitava a registrare nella rubrica del cellulare uno o più numeri da contattare in caso di emergenza, sotto l’acronimo ICE (in case of emergency), seguito dal nome: ICE mamma, ICE carlo, ICE betty e così via.

Una delle maggiori difficoltà per gli operatori delle ambulanze, infatti, è quella di ottenere importanti informazioni relative a vittime di incidenti, prive di coscienza e in pericolo di vita: identità, gruppo sanguigno, eventuali allergie a farmaci. Chiamando il numero ICE del telefonino, lo staff dell’ambulanza o del pronto soccorso potrebbe ottenere rapidamente queste preziose informazioni.

Una volta ci si affidava alle agendine cartacee che dedicavano uno spazio in copertina per inserire nome e numero da chiamare in caso di emergenza. Scomparse quasi del tutto le vecchie agende, il cellulare – spesso accusato di distrarre chi guida e di provocare incidenti - in qualche occasione può trasformarsi in un salvavita.

Ho scoperto poi che l’idea non è nuovissima, circola infatti per la blogsfera da almeno un paio d’anni e che negli Stati Uniti è già diventato un
business, anche se non mancano voci scettiche: che fare se il telefono è spento e protetto da un PIN? E se nell’impatto il telefono viene sbalzato lontano dal proprietario, come fare a sapere a chi appartiene? E poi, quanto tempo si perde a smanettare in un telefono che non si conosce bene?

In Italia, intanto, il capo del 118 di Milano in
un’intervista riportata da Panorama si è dimostrato favorevole all’uso del numero ICE. Magari in aggiunta a più tradizionali foglietti che riportano le informazioni più importanti conservati nel portafogli o in borsetta.

Non ho inoltrato la mail a nessuno e ho interrotto la catena.
Ma mi è rimasta la curiosità: quanti di voi hanno mai pensato a come avvisare i propri cari in caso di emergenza? E come avete deciso di regolarvi?

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14.7.07

Guadagnare

Mi comunica il gestore di telefonia che con la ricarica ho “guadagnato” 25 punti. Bene, io ero convito di aver speso venticinque euro.

Senza scomodare Genesi 3, in cui l’Eterno dice ad Adamo che guadagnerà il pane con il sudore della fronte, o i vari Devoto Oli e Zingarellli, è intuitivo che si guadagna qualcosa a fronte di qualcos’altro, che sia lavoro o rischio in Borsa.

Ben diversa è, invece, la situazione della concorrente di un gioco a quiz cui il Mike Nazionale comunicò “signora, lei ha guadagnato tot milioni!” o, peggio, quel cronista di un gr che riuscì a dire che “i rapinatori hanno guadagnato tot milioni”.

Vallo a spiegare ad un operaio impiegato in uno dei lavori usuranti di cui si discute in questi giorni!

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Homo technologicus et parentesicus

Ieri un mio caro amico, prima di staccare tutto per le ferie, mi scrive questa mail.

********
Beccato pelo pelo prima di chiudere il computer per un mese (quello di casa,
cosa credi: con me avrò due computer portatili, due chiavette USB da 5 GB,
un hard disk portatile, due mouse ottici, una scheda wi-fi, due adattatori
USB Bluetooth e, ovviamente, l'immancabile palmare/smart phone! Ah,
dimenticavo, anche due iPod - uno da 8 GB e uno da 60 GB -, un lettore
DVD/Divx portatile con schermo da 7" - adattissimo per viaggi lunghi con
bimbi lamentosi! -, una coppia di diffusori audio portatili, due macchine
fotografiche digitali - una compatta da 3 Mpx e una reflex da 10 Mpx - e,
infine, una videocamera digitale, per riprendere i momenti in cui non sto
usando il succitato apparato tecnologico!!!).
Forse sono l'anello mancante fra l'Homo Sapiens e l'Homo Technologicus...
********

Due riflessioni mi si aprono, all'istante.
La prima è sull'uso delle parentesi. Noi della Palestra suggeriamo spesso nei corsi di evitare le parentesi, perché i lettori tendono a saltarle: smentiti qui al 100%. Prova a saltarla quella parentesi: impossibile, ti azzecca gli occhi sempre più lì sopra, che vuoi vedere fino a che punto può arrivare un uomo.
La seconda è sulle imminenti vacanze di noi grafomani. E qui apro subito un sondaggio: che state per fare, amici della magia? stacco completo o apparato supertech da spiaggia?

P.S.: per gli appassionati di storia delle evoluzioni, due flash interessanti: che cosa di diceva sull'argomento nel 1999 e che cosa si dice nel 2007.

12.7.07

PACS, DICO, CUS

Nomen omen, il mome è un presagio, dicevano i romani. Ma non sarà che a noi interessi più arrivare alla sostanza, che le discussioni sul nome delle unioni di fatto?

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Onorevole Fini, che insegnanti frequenta lei?

Giorni fa Gianfranco Fini è tornato nella sua città, Bologna, e ritrovando l’antico vigore ha proposto una “bonifica” che spazzi via con gli idranti il degrado che affligge la città. Poi ha precisato: vagabondi, ubriachi, zingari, sbandati, punkabestia, clandestini. Nella furia finiana sono finiti anche gli insegnanti: “un manipolo di frustrati - pare abbia detto - che incitano all’eversione”.

Onorevole, so che anche lei è giornalista, e mica si può giocare troppo con le parole: ogni espressione tolta dal proprio contesto assumo un tono, un colore e un calore deformanti. E, per la stima che molti mi dicono sia da porre in lei, spero che il contesto di quelle sue parole fosse migliore di quanto appare.

Sul “manipolo di frustrati”, a parte quel delizioso retaggio linguistico (manipolo), le è mai sorto il dubbio, a lei e a certi suoi colleghi che da decenni bivaccano in Aula, che ci sia un nesso tra la frustrazione e il degrado della scuola?

Sull’incitare all’eversione, invece, ha ragione. Se “eversione” è “sovvertimento radicale dell’ordine costituito compiuto con atti rivoluzionari o terroristici”, in effetti ne conosco di insegnanti che sovvertono l’ordine costituito. Gente che spende i pomeriggi sì a correggere, riflettere, studiare, aggiornarsi, confrontarsi, ma anche a inventare modi sempre nuovi per accendere gli sguardi dei loro studenti. E poi magari li invitano a casa, anche da pensionati, per sostenerli rispetto alle titubanze di qualche giovane insegnante. E poi vanno a sentirli alla maturità, soffrendo con loro in platea, invece di grattarsela al mare. E li coinvolgono nel volontariato, lì sì insegnando loro a vivere (o a evertere), dopo le prove fatte con Seneca o l’Innominato. E tutto, badi, gratis!

Se ha voglia di conoscerne qualcuno, onorevole, di questi terroristi, a sua disposizione. Chissà che poi, neurolinguisticamente, lei possa ampliare la sua rappresentazione mentale della realtà, e poi la rappresentazione verbale della rappresentazione, il significato, il significante...

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10.7.07

Parole migranti

"Leggo i libri usati perché le pagine molto sfogliate e unte dalle dita
pesano più negli occhi,
perché ogni copia di libro può appartenere a molte vite
e i libri dovrebbero stare incustoditi nei luoghi pubblici
e spostarsi insieme ai passanti che se li portano dentro per un poco,
e dovrebbero morire come loro,
consumati dai malanni, infetti, affogati giù da un ponte come i suicidi,
ficcati in una stufa d'inverno, strappati dai bambini
per poter farne barchette,
insomma ovunque dovrebbero morire
tranne che di noia e di proprietà privata,
condannati a una vita in uno scaffale".

Erri De Luca, Tre cavalli

9.7.07

Le poche buone regole dell’evangelista Luca

Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. (Luca 1:1-4).

Nell’introduzione al suo vangelo Luca, il giovane medico discepolo di Paolo, ci spiega il metodo che ha seguito nello scrivere.

1. Motivazione: "Poiché molti…", in greco l’espressione denota che scrivere della vita di Gesù era diventato quasi una moda, e molti, come possiamo verificare nei vangeli apocrifichi, avevano lavorato di fantasia.

2. Credenziali: "come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni", Luca dichiara fin dal principio di non esser stato un testimone della vita di Gesù.

3. Metodo: "di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato" quanto spesso, di questi tempi, si preferisce lo scoop all’accuratezza, salvo poi, forse, rettificare.

4. Destinatario: "illustre Teofilo", bella la scelta del nickmame, come diremmo noi: teo-filo, amico di Dio.

5. Scopo: "perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto", motivo pratico, non ricerca di fama editoriale.

Un’introduzione che dovrebbe essere ricordata da chiunque scrive, per mestiere, per diletto, a scuola, in un blog.

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Tempi di Attesa – GLI ULTRACORPI

Mentre cerco di superare la barriera di un centralino automatico, noto l'aria sconsolata della collega davanti allo schermo del suo PC: "Sono tornati! Guarda, sono tornati...". Sembra che parli di una nuova invasione degli ultracorpi, invece ha scoperto che è ricomparso in rete lo slogan pubblicitario della Regione Lombardia:

"Un mondo del lavoro che cambia.
O è solo uno slogan o sei in Lombardia"

Il messaggio pubblicitario riprende infatti quelli degli enormi manifesti comparsi in primavera per le vie di Milano e nel sito della Regione Lombardia. Poi tutto era svanito fino a questa nuova manifestazione, limitata adesso alla pagina della Direzione Generale Istruzione, Formazione e Lavoro. "Forse si sono ritirati per preparare l'attacco al pianeta..." – azzardo. Ma il mio spirito da liceale non risolleva la collega dal suo sconforto, perché commenta: "E' come se dicessero che tutti quelli che vivono fuori della Lombardia sono dei poveri incapaci". Bisogna ammettere che il presupposto dello slogan è ispirato a un esclusivismo imbarazzante.

Quando poi rileggo con attenzione quelle due righe, m'accorgo di una contraddizione che è evidentemente sfuggita agli esperti in comunicazione. A parte il contenuto, guardiamo come è strutturato il messaggio: se, dopo l'affermazione formulata nella prima riga, diciamo "o è solo uno slogan o sei in Lombardia" è come se dicessimo che, in Lombardia, quell'affermazione non è solo uno slogan, perché risponde al vero. Il presupposto è dunque che uno slogan non necessariamente dice il vero. Asserzione ineccepibile sul piano logico. Sul piano emotivo della comunicazione vale tuttavia un'equazione più immediata e drastica, ossia: "slogan uguale menzogna". E allora, se l'affermazione iniziale è vera, perché sostenerla proprio con uno slogan pubblicitario? Non è una contraddizione controproducente? E, oltretutto, il tono del messaggio non è offensivo verso tutti coloro che si servono di slogan? E riguardo ai pubblicitari che li pensano per mestiere?...

Tutti sanno che ogni comunicazione è per sua natura imperfetta, come appunto i soggetti umani che tentano di comunicare. Resta il fatto che le forme del linguaggio corrispondono al pensiero di chi le usa e rivelano presupposti talvolta allarmanti. In questo caso i redattori avrebbero colto la contraddizione insita nel testo che stavano componendo se, nella preoccupazione di affermare l'eccellenza della Regione Lombardia, non fossero stati offuscati dalla superbia che il tono perentorio del messaggio rivela. Perciò, pur ammettendo che l'affermazione dello slogan risponda al vero, ci resta il sospetto che sia accompagnata dalla tentazione diabolica di sentirsi separati dagli altri per una presunta superiorità. Proprio questo amareggiava la mia collega. Al contrario, chi è animato dallo spirito di condivisione non pensa affatto che una sua eventuale eccellenza lo renda superiore e distante dagli altri, ma piuttosto che lo impegni a essere ancor più responsabile nei loro confronti.

Ecco come un semplice slogan può malignamente confortare i nostri passi mentre ci allontaniamo dalla fraternità e quindi dalla democrazia.

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7.7.07

Come tenere l’acqua nella mano

Per ora di questo libro conosco solo il titolo,
della sua autrice, Patrizia Rigoni, poco di più,
eppure posso dire “per ora”.
6 parole, e una domanda implicita:
come tenere l’acqua nella mano?
Perché io ci leggo la domanda,
e se non proprio la domanda il dubbio, l’ipotesi
del protendersi verso l’altro, per sua natura
fugace e incontenibile.
Leggo il tentativo di un dialogo che affranchi
dall’eco della solitudine, il desiderio di travalicare
un confine, verbale, carnale, che poi è lo stesso.
Potenza connotativa della parola,
per ora conosco solo un titolo che già mi piace, e per questo,
adesso, vado in libreria.
.

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6.7.07

Tutti pazzi per del.icio.us

Folksonomia è un neologismo che deriva dall’inglese folksonomy, ovvero una categorizzazione collaborativa di informazioni (social bookmark) attraverso l'uso di parole chiave scelte liberamente.
In pratica, questo termine si riferisce alla metodologia utilizzata da gruppi di persone che collaborano spontaneamente per organizzare in categorie le informazioni disponibili attraverso internet.

Tra gli strumenti a disposizione, del.icio.us permette di aggiungere facilmente i siti preferiti nella propria collezione personale di link. Si possono anche organizzare i link utilizzando delle parole chiave (tag), e condividere il proprio archivio con altri utenti.

Ma ci sono anche comunicati stampa fatti con del.icio.us. E chi con del.icio.us crea utili slideshow

Insomma, se il Time lo indica tra i cinque siti indispensabili un perché ci sarà!

5.7.07

Il propellente necessario

Al latino “soffiare dentro” risale una delle parole più usate
quando si parla di scrittura: ispirazione.
Diciamo di aver bisogno di ispirazione qualunque testo ci attenda:
biglietto di auguri, post, tesi, altro.
L’eccezione è per la lista della spesa (forse).

Soprattutto la scrittura creativa viene spesso descritta come influsso,
quid esterno che giunge a stimolare il genio,
e c’è chi la raffigura addirittura come sdoppiamento:
una parte inconsapevole detta le creazioni, e l’altra, quella cosciente, annota.
Pagine interessanti in proposito si leggono in Terapie apparentemente magiche, libro qui ricordato qualche tempo fa.
Del resto, la lateralizzazione del cervello, cioè la presenza di emisferi
con funzioni differenziate, ci autorizza a crederlo:
l’emisfero destro intanto crea, il sinistro poi organizzerà.

Riflettevo sull’ispirazione l’altro giorno, leggendo il post di Emiliano,
quando ho ritrovato due testi del beneamato Montale:
tra i molti che l’autore dedica alle parole e al sacro fuoco del comporre,
questi entrano nell’argomento e lo sgranano d’ironia.

(la domanda è aperta: tu riconosci una spinta, uno sprone a scrivere?
è quello il tuo propellente necessario?)

L’angosciante questione
se sia a freddo o a caldo l’ispirazione
non appartiene alla scienza termica.
Il raptus non produce, il vuoto non conduce,
non c’è poesia al sorbetto o al girarrosto.
Si tratterà piuttosto di parole
molto importune
che hanno fretta di uscire
dal forno o dal surgelante.
Il fatto non è importante. Appena fuori
si guardano d’attorno e hanno l’aria di dirsi:
che sto a farci?

***

Non posso respirare se sei lontana.
Cosi scriveva Keats a Fanny Brawne
da lui tolta dall'ombra. È strano che il mio caso
si parva licet sia diverso. Posso
respirare assai meglio se ti allontani.
La vicinanza ci riporta eventi
da ricordare: ma non quali accaddero,
preveduti da noi come futuri
sali da fiuto, ove occorresse, o aceto
dei sette ladri (ora nessuno sviene
per quisquilie del genere, il cuore a pezzi o simili).
È l'ammasso dei fatti su cui avviene l'impatto
e, presente cadavere, l'impalcatura non regge.
Non tento di parlartene. So che se mi leggi
pensi che mi hai fornito il propellente
necessario e che il resto (purché
non
sia silenzio)
poco importa.

.

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3.7.07

Il suono dei colori

"Il suono dei colori. Interpretazione reinterpretazione della fiaba attraverso la PNL". Lo si capisce fin dal titolo: è una tesi di laurea. Ebbene sì; ho convinto una mia studentessa a cimentarsi con la PNL e cercare di utilizzarla prima per l'analisi di alcune fiabe, poi per la riscrittura di una fiaba cinquecentesca ad uso di una comunità di adulti con gravi handicap. Con ottimi risultati. Trascrivo le conclusioni: " La PNL si è trasformata in un tramite mportamte con i diversamente abili, che ha permesso un contatto più autentico e di entrare un po' più nel loro mondo. La PNL così intesa può aiutarci ad accorciare le distanze, a rendere sempre più invisibili le differenze e ad avvicinare i "diversamente normali" ai "normalmente disabili". Insomma, forse, una nuova frontiera della comunicazione.

2.7.07

La falegnameria di Cerami (e quella di maestro Ciliegia)

"Se si potessero sommare assieme i momenti di creazione pura che uno scrittore (grande quanto si voglia) sperimenta in tutta la sua esistenza, non si arriverebbe neanche a cinque minuti. Tutto il resto è machine, lavoro quotidiano, falegnameria, talvolta persino routine." Così scrive Vincenzo Cerami nel suo Consigli a un giovane scrittore.

Ecco perché ogni onesto maestro di scrittura non vi darà mai istruzioni su come essere creativi - ahinoi, la fantasia o ce l'avete, o siete del gatto! - ma vi mostrerà gli strumenti e vi insegnerà le tecniche per mettere a frutto quei cinque minuti di cui parla Cerami.

Trucchi del mestiere, certo, necessari per far stendere le ali alla creatività e a farle prendere il volo. Così potete imparare a impugnare lo scalpello, a usare la lima, a lavorare con il seghetto... ma i fantastici intarsi di faggio, ciliegio e ulivo dipendono solo dal vostro talento, dal vostro coraggio, dalla vostra originalità.

Trucioli, dunque, segatura, e tanta legna da bruciare. Ma a volte, si sa, da un ciocco di legno da buttare può venir fuori un burattino che parla:

"C'era una volta...
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze. Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr'Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura." (Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio)

Il resto della storia lo conoscete. Attenti solo a non bruciare il pezzo sbagliato! ;)

1.7.07

Elogio della lunghezza

La medaglia. “Sarò breve”.
Con queste due ammalianti, mendaci parole iniziano ogni giorno migliaia di discorsi in pubblico.
Sììì... ciao. È come entrare da Gucci e leggere “Dai, che qui risparmi”. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago.
Lo abbiamo capito tutti: nel business writing la sintesi è centrale; poche frasi, asciutte, dense, ficcanti, dritte al punto, prima che al lettore cada la palpebra.

“Ma non sarà che poi il messaggio risulta arido? che si finisce per dire poco? a mio figlio scrivono sui temi: scarno, poco analitico, non scende in profondità.” Già, la sintesi è spesso fraintesa con la superficialità.

Il problema ha già in sé la soluzione: la sintesi non è un presupposto, è un risultato; viene dopo l'analisi. Devi scrivere 20 righe? se ti metti lì e scrivi 20 righe, facile che siano superficiali. Se invece scrivi 4 pagine, e poi le tiri a 20 righe, allora è sintesi. E quasi sempre lì c’è più gusto che in 4 pagine: come una brodaglia, a furia di bollire, diventa un buon consommé.

E il suo rovescio. Nessun pregio, dunque, nella lunghezza?
Oh, sì, invece. Nella frenesia del nostro leggere e scrivere quotidiano, a volte proprio un testo lungo può emergere dal marasma. Sempre che non sia solo lungo, quindi noioso, ma che seduca il lettore, lo coinvolga, dialoghi con lui, lo incuriosisca, gli accenda delle domande, gliele tenga un po’ lì, e poi risponda, approfondisca, argomenti, fissi nella memoria.

Delle 34 lettere pubblicate in "The Greatest Direct Mail Sales Letters of All Time", una raccolta delle migliori lettere commerciali di tutti i tempi, metà sono lunghe da una a due pagine; le altre, da tre a sette pagine.

Non esistono lettere troppo lunghe: ne esistono solo di troppo noiose. Anche l'obbligo della brevità può produrre noia e standardizzazione: periodi brevi, pochi congiuntivi, quasi niente subordinate, inevitabilmente sempre la stessa lettera.

Per contro, hanno avuto successo lettere di quattro, otto pagine, o più. Una lettera deve rispondere alle domande che il lettore si pone. Anche se non leggerà tutto, poi, la lunghezza può avere un impatto psicologico positivo: rassicura, ispira fiducia.

Il lettore deve intuire che non perderà tempo. Che già nelle prime righe coglierà il messaggio, senza annaspare fino ai cordiali saluti per trovarlo. E che poi, se occorre, potrà scendere in profondità. Come nel web, con la sua scrittura “tridimensionale”.

Del resto, chi scrive nel web, tanto o poco si è formato sui sacri testi di Jakob Nielsen. Avete letto questa sua mappazza? Concise, scannable, and objective: how to wite for the web. Un must, eppure mappazza: sono più di 40.000 battute. E la intitola "Concise", capito?! Certo, il furbino mette davanti un abstract, le parole chiave, grassetti, link, un sacco di titolini, in più si scusa per la lunghezza ("Unfortunately, this paper is written in a print writing style..."), poi ti dice che c'è una versione più breve se preferisci, e tu te lo ciucci tutto, il suo sapere.

Se hai provato i vantaggi della lunghezza, per favore di’ la tua (se puoi, allegando anche qualche esempio).
Grazie.