30.3.07

Corpo a corpo

Ieri ho letto con gusto il racconto di Caterina.
E così, stamani, in classe, ho tentato anch’io un piccolo esercizio di stile,
una specie di lipogramma di genere:
a disposizione dei ragazzi sostantivi solo maschili,
viceversa per le ragazze. E un unico argomento:
il rapporto con la scrittura.

La classe è una terza alberghiero: nella maggior parte dei casi
questi studenti nelle loro priorità hanno altro,
ma l’inaspettata richiesta li ha galvanizzati, e tutti, proprio tutti,
per 20 minuti si sono impegnati in un corpo a corpo con le parole.

Alcuni mi hanno confessato la loro idiosincrasia per i libri,
altri hanno descritto il loro cammino dalle astine alla composizione,
altri ancora hanno cercato di farmi capire che, sì, vorrebbero,
avrebbero tanto da dire, ma manca la dimestichezza
con la lingua, e questo tarpa le loro ali.
Del resto ho sempre pensato che insegnare a scrivere
sia in fondo per me quasi un pretesto per educare alla libertà.

E così domani porto in classe Queneau.
Intanto qui trascrivo i testi di Melissa e Stefano: bravi,
voi e gli altri.

La scrittura è parte di noi e di ogni azione che ci circonda. Identifica la nostra personalità più vera. Secondo la mia concezione, chi scrive non è la nostra persona materiale, ma l'anima, che ha l’opportunità di parlare anche a se stessa.
La scrittura riesce a esprimere tutto ciò che non riusciamo a dire a voce. Tira fuori la nostra personalità: la migliore o la peggiore, a seconda dell’emozione che proviamo mentre scriviamo.
Può trasmettere tranquillità, gioia, sincerità, e donarci una sensazione di libertà e spesso sorpresa, o può lasciarci l’amarezza in bocca, come ci lascia la vista di una notte senza stelle.

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Non mi definisco un ragazzo che sa scrivere bene, ma so per certo che quando scrivo un tema o un compito ci metto tutto il pathos, mi lascio trasportare e scrivo, scrivo, scrivo: non mi soffermo a pensare se quello che faccio è giusto o sbagliato: quando compongo un testo mi sento libero, come se stessi correndo in un campo vuoto, tutto per me.
Scrivere mi fa sentire tranquillo, perché quando invento un testo è come se mi trovassi in un mondo dove nessuno mi può disturbare: quel mondo è solo mio. Spesso quello che immetto nel testo è anche un confronto con me stesso, per vedere fin dove posso arrivare.
Se ci si pensa, scrivere non è solo un compito da fare per l’insegnante:
è un pensiero nostro, un desiderio, ma soprattutto è amore.


E ora, lettori, che ne dite di provare anche noi?
;-)

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28.3.07

L'Italiano Parallelo

Nell'Italiano Parallelo nessuno va, tutti si recano. In cielo non ci sono uccelli, ma vi sono volatili. Le ragazze non vengono avanti, incedono.

Nelle lettere, poi, questa strana lingua - che molti scrivono e che nessuno parla - trova un terreno fertilissimo: i professori sono chiarissimi, i signori egregi, le signore gentili; le condoglianze sono sempre sentite e gli auguri comunque sinceri.

"Write the way you speak" raccomandano gli anglosassoni. E invece noi (per timidezza? conformismo? pigrizia?) diabolici perseveriamo...

P.S.
Grazie a Tiziana per la segnalazione, e a Beppe Severgnini per il suo occhio sempre vigile >>> ItalianoParallelo.doc

14.3.07

Il coraggio dell’emozione

Ho conosciuto Mara a un corso formativo, e ci siamo avvicinate subito,
noi due così minute nella mole, e giganti nella fame di vita.
Poi più niente, se non contatti sporadici, lavorativi.

La fisarmonica della vita ti prende e ti posa,
e così è capitato di rincontrarci, coltivare amicizie comuni,
comprenderci, nella nostra tensione a esprimere,
ciascuna nelle proprie forme, l’inesprimibile.


Perché Mara dipinge. Dipinge, disegna, incide.

“La cosa importante è che io abbia disegnato
nella mia vita,
spinta dal richiamo della forma,
dalla rara esaltazione,
dalla necessità di fermare il sogno,
dall’urgenza di tradurre in immagine la poesia.
Dalla ricerca di ciò che non si può spiegare solo con le parole”.

Dal 24 Marzo al 4 Aprile la città di Pisa
le dedica una personale:
Per inciso.

Qui a fianco l’invito.

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11.3.07

SCRIVERE: qualcuno l'ha provato?

"Scrivere. Per la pagina, per lo schermo, per lavoro."
È il corso di scrittura a fascicoli (60 uscite!) basato sulla didattica della Scuola Holden, quella di Baricco:
http://www.deagostiniedicola.it/collezioni/scrivere/index.html
Sono usciti i primi due fascicoli con volumetto e dvd.

Qualcuno l'ha provato? e vuol darci un'opinione? grazie

8.3.07

Like a woman

Quando la sentii mi diede un brivido.
Lusinga od offesa?

She takes just like a woman, yes, she does
She makes love just like a woman, yes, she does
And she aches just like a woman
But she breaks just like a little girl…



Perché quel just ti coinvolge, te donna,
e all’istante ti vedi prendere, fare l’amore,
soffrire e piangere
proprio come una donna.

Altro, però, non avevo considerato.

Finché un giorno Alessandro muove l’idea
e ci chiede quale relazione può secondo noi esistere
tra l’essere donna e lo scrivere.

Quel che ho pensato subito, in effetti, l’ho scritto,
e ora è insieme ai contributi di Aurora, Assunta, Barbara, Caterina,
Catia, Cinzia, Gessica, Laura, Lorena, Luciana, Matilde, Nicoletta,
Rosella, Silvia, Simona, Susanna, Titti.

Un arcobaleno pronto ad arricchirsi, perché altre voci verranno
a capire, raccontare, confrontarsi attraverso la scrittura.

Da oggi, infatti, ci incontriamo anche .

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7.3.07

Esercitazione finale

"Skrivereraga". Così si chiamava, in origine, il corso che si è concluso oggi alla Provincia di Milano, destinato a psicologi e assistenti sociali di comuni e cooperative.

"Sììì... con questo titolo non mi avrebbero mai permesso di essere qui oggi", commenta una partecipante all'inizio del corso. Per fortuna, allora, che il titolo "ufficiale" è diventato: "Tecniche e spunti creativi per una scrittura centrata sui servizi afferenti alle politiche sociali del territorio provinciale". Per fortuna che resta un po' di burocratese. Per fortuna, anche perché dopo l'apertura il corso prende una piega diversa: non solo "raga", non solo adolescenti, ma anziani, soggetti disabili e loro famiglie, amministrazioni locali.
Bon, l'importante è fare: il linguaggio si adegua. Ciò che è stato chiarito subito è l'obiettivo del corso: promuovere servizi di sviluppo della cultura famigliare (affido, famiglie professionali...), con un linguaggio che sappia "vendere" il pensiero e le azioni sociali in modo efficace, senza scadere nel mieloso e nel moralistico. Obiettivo condiviso: ok, si parte.

Cinque giorni di lavoro. Oggi siamo all'ultimo giorno. Esercitazione finale: quella più delicata, una specie di redde rationem, ti dà la sensazione della reale utilità, ben al di là del rituale questionario di gradimento.

Compito: scrivere in gruppo - tempo 45 minuti - un racconto dell'esperienza fatta. Il risultato è nei due file allegati. Grazie per l'impegno e per la simpatia a: Miriam, Maria Teresa, Silvana, Mary, Giovanna, Laura, Alessandro, Antonella, Marlene, Iris.

AleGiovannaLaura.doc
MaryMiriamMTeresaSilvana.doc

4.3.07

Più orecchio che voce

“Non c’è più il futuro di una volta”. Questo il titolo di un convegno di venerdì (breve sunto nel post precedente). La star era il mio amico Paolo Iabichino, che ci ha portato avanti di qualche anno nello scenario della comunicazione. Sembrano sbiadirsi i target, ossia i consumatori come bersagli da colpire, languono le strategie e le tattiche della marchetta, e torna in voga la conversazione tra chi ha bisogno di qualcosa e chi quel qualcosa ce l’ha lì, pronta da vendere. Torna in primo piano l’ascolto. E non quello dell’auditel, ma quello delle persone. Paolo ci ha detto che in Ogilvy, la sua agenzia, le nuove assunzioni strategiche sono state non solo per creativi molto fantasiosi, ma per giovani capaci di osservare, ascoltare, fiutare i fenomeni che si manifestano nella società: ragazzi che passano il tempo a cercare cose nuove nella rete e che stanno là fuori, per strada, ad accorgersi di come cambia la vita.

Bene. Dopo la frullata del venerdì, viene il sabato, per riposare e far sbollire le idee, e poi la domenica, giù di nuovo a leggere, e riflettere.

Oggi, in un giro in rete, ritrovo proprio nel blog di Paolo, www.invad.it un sacco di spunti su questo nuovo scenario. Dice Paolo: “la pubblicità è passata dalla persuasione alla pervasione, insinuandosi ovunque per trovare nuovi territori d’ascolto, laddove gli individui hanno imparato a svicolare, criticare, boicottare, scegliere, consigliare e relazionarsi in maniera diversa. I ragazzi, le persone - o peggio, i consumatori e i responsabili d’acquisto - sono sempre meno davanti a uno schermo e sempre più di fronte a un monitor o a un display, usano la rete per connettersi tra loro, per condividere e scambiare esperienze.”

Allora mi torna in mente un numero di Comunico, tutto dedicato proprio all’ascolto. In particolare, un articolo di Claudio Maffei, dal titolo Comunicatori: dovremmo avere più orecchio che voce.

Poi ricevo una mail da Carlo Dellasega, direttore della Federazione trentina della cooperazione, che era con noi al convegno di venerdì: Ciao Alessandro, sono all’assemblea di una nostra Famiglia Cooperativa. Ci sono + di 700 soci. Una socia con emozione ha detto: “Voi amministratori siete bravi a comprare, ma un BRAVO al personale che sa vendere perché per me e per gli altri soci venire in cooperativa a far la spesa è come andare in famiglia. Questo è il vostro successo. E per confermarlo vi dico che una mia amica socia malata mi ha detto che quando viene in Famiglia Cooperativa si sente meglio. Cosa te ne pare? Carlo

Me ne pare, Carlo, che la storia potrebbe essere davvero maestra di vita. Chi come voi, nel Trentino, ha una tradizione di cooperazione, ossia di conversazione mirata al miglioramento della vita e del lavoro delle persone, è un passo avanti. Stare là fuori, in strada, a parlare e ascoltare la gente: questo è sia il futuro della comunicazione. Altro che business plan e marketing mix.

Oggi pomeriggio ho fatto un giro in una fiera di paese. Un venditore di spremilimoni - microfonato, voce ammaliante, verve da cabarettista - mi ha dato una lezione di entertainment. Gli ho rubato un paio di idee: domani me le spendo a Torino, in un’azienda dove tengo un corso di public speaking.

1.3.07

Banche: non c’è più il futuro di una volta

Comunicazione e cambiamento: la riflessione continua

Milano, venerdì 2 marzo. Alle 17,40 rompono le righe, ma solo perché tra un’ora hanno il treno. Sono in piedi dalle 5 di stamattina, sono qui in aula dalle 9,30, per un convegno dal titolo “2010: viaggio nella comunicazione”, e vorrebbero andare avanti ad ascoltare e a discutere. Sono circa 80 direttori e presidenti di banche cooperative del Trentino, riuniti nell'associazione Asdir, che a inizio anno hanno iniziato una riflessione su come comunicare con i media e, più in generale, come riorientare la loro comunicazione.
“Beh, che ne dite? È già una notizia, vero? Forse chi dirige i centri del potere economico sta capendo che non possono più stare là dietro a contare i soldi?” Così scrivevamo in un post dopo quel convegno. Provocazione banale? beh, la discussione è andata avanti, comunque. Oggi, altro capitolo.

Mattinata con Luca Paolazzi e Nino Cilavegna, editorialista e segretario di redazione del Sole 24 ore, per un botta e risposta su vita di redazione, trattamento della notizia e altri segreti del giornalismo. Poi gita creativa in Ogilvy One, la prima agenzia di marketing one-to-one in Italia, e conferenza del suo direttore creativo, Paolo Iabichino, su temi come il conversational marketing, le media relation e gli sviluppi della comunicazione nei prossimi anni.

“Il futuro che si prova a immaginare ogni volta - ha detto Paolo - lo scopriamo presente più che mai all’interno delle nostre giornate. E appartiene al quotidiano delle nostre conversazioni. Credo che anche le banche si stiano accorgendo del brusio di sottofondo, perché le più recenti sortite pubblicitarie di autorevoli istituti di credito parlano di ascolto e di attenzione al cliente, e non sembra l’ennesima réclame.”

Allargamento del panorama dei media, oltre i classici quotidiani economici; monitoraggio continuo della blogosfera, e quindi di ciò che si dice in rete; rispetto per i temi sociali e ambientali; user generated content, ossia messaggi di comunicazione costruiti dagli utenti stessi; e poi sempre più digital, sempre più cultura digitale, che significa un pubblico più informato e più consapevole, un contesto di conversazione più partecipato e più aggregante, un linguaggio più diretto e più autentico. Questi i temi centrali proposti da Paolo sotto un titolo, manco a dirlo, con dentro già tutto il succo: “Non c’è più il futuro di una volta”.