30.10.08

Comunicare la passione per la scienza ai giovani

“I giovani d’oggi sono i ricercatori di domani.”

Passione: inclinazione, interesse vivo per qualcosa.
Scienza: insieme delle persone che si dedicano all'attività di ricerca scientifica.

Mercoledì 22 ottobre al COM-PA, il salone della Comunicazione Pubblica, si è tenuto il forum (promosso da: Fondazione Università IULM) dal tema: “Comunicare la passione per la scienza ai giovani”.
L’obiettivo dell’incontro: raccontare tre esperienze di eccellenza relative al coinvolgimento e alla sensibilizzazione del pubblico giovane sui temi della scienza. Le testimonianze hanno avuto un taglio pratico ed esplicativo.
Il coordinatore è stato Walter Bruno, Direttore della Comunicazione Istituto Clinico Humanitas, poi sono intervenuti Elisabetta Decana (Direttrice programma IFOM - Fondazione Istituto Firc di Oncologia Molecolare), Emanuela Properzj (Direttrice comunicazione AIRC - Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) Mario Salvi (Segretario del Comitato scientifico Bergamoscienza) e Vittoria Cinquini (Coordinatore dei Dirigenti Tecnici della Lombardia Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia).
Durante l’incontro è emersa la necessità di comunicare la scienza non più come un catalogo (così si sfalsa il vero valore che si cela dietro alla parola), ma come promozione di un’identità di linguaggio tra chi la comunica e chi la pratica.
Coinvolgimento e semplicità: parole chiave per comunicare la scienza.
Da alcune ricerche è emerso un sentimento di disaffezione riguardante questo campo da parte dei giovani, basti pensare che negli ultimi quindici anni gli studenti iscritti alle facoltà scientifiche si sono dimezzati.
La scienza è un processo di evoluzione, una forma di sapere aperta e forte e non è solo e semplicemente un “insegnamento del gesso” perché non bisogna apprendere unicamente alla lavagna, ma fare pratica.

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Ti aspettiamo al Museo della scienza e della tecnica di Milano, per la presentazione del Linguaggio della salute, il 12 novembre alle 18.30 - sala Cenacolo.

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I "Segnalibri" del cuore

30 appuntamenti, in 15 biblioteche della provincia di Varese: tra saggistica e narrativa, libri fotografici e raccolte di poesie.

Anche quest’anno il Sistema Bibliotecario dei Laghi organizza “Segnalibri”, l’appuntamento del territorio dedicato al mondo del libro.

Novità editoriali, conferenze, incontri con autori e critici. Ma anche mostre, esposizioni e buffet a tema, segnalibri d’artista da collezionare.

Un percorso lungo e avvincente che, a gennaio 2009, vedrà protagonista anche il Linguaggio della salute.

Info >>> www.sblaghi.it

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29.10.08

en arché en o logos

En arché en o logos (traslitterato…); In principio erat verbum. In principio era il verbo. Dove, per ‘verbo’ dobbiamo intendere ‘parola’. Come si sa, questo è il principio del Vangelo secondo Giovanni. Grande libro, sia che lo si consideri testo sacro, sia che lo si consideri un testo e basta.
Grandi parole, per giocare con le parole, perché mettono in evidenza l’importanza della parola, come mezzo di verità (o della verità).
‘Logos’ è poi una parola in sé ancora più ricca; perché non vuol dire solo ‘parola’, ma significa anche ‘discorso’, ‘ragione’. Da cui deriva quell’altra bellissima parola, che è ‘dialogo’: l’incontro (dia-) tra due ragioni (logos).
Bella parole. Che, a sentirle, fanno sempre bene; al cuore, come al cervello. Così stamattina, mentre facevo una pausa dal lavoro (che facevo? Scrivevo, naturalmente), mentre mi facevo un caffè, ho aperto la tv, che non trasmetteva né Isole né altre amenità (?) simili. Ma le dichiarazioni di voto al Senato sul Decreto Gelmini, quello della scuola.
In quel momento parlava l’on. Finocchiaro. Che parte da san Giovanni, e poi prosegue, ricordando anche Montale (“Non chiederci la parola…”) ed altri ancora. Un discorso, il suo, che è andato a toccare il senso della parola e del dialogo. Razionale ed emozionante insieme, quello che ha detto. Perché è andata, con rigore, ad individuare le ragioni delle sue opinioni; perché, per fare ciò, è andata a ripescare quelle parole cui anche noi siamo tanto legati; quegli ‘autori’ che sono anche i nostri autori. Ha detto una sua verità, che non sarà certo la Verità, ma per la quale ha invocato parole forti, evocative, ricche di valori.
Al suo intervento ne è seguito un altro, di cui non dirò nulla, perché nulla mi ha lasciato. Ed allora quando qualcuno ancora dirà che tutti i politici sono uguali, ricorderò questo discorso fatto in Senato. Ricorderò che non tutte le parole sono uguali. Ricorderò che la parole, il verbum, il logos, danno principio a tutto.

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28.10.08

E' così che voglio ricordarti

Tu che sei nata e vissuta con la valigia in mano, tu che hai viaggiato sempre per amore; te ne sei andata da sola, in un letto estraneo, senza la compagnia ed il conforto di nessuno.
Una vita passata accanto alle figlie, ai nipoti e poi, proprio in quel momento hai deciso di essere sola.
Se avessi potuto, ti sarei stata vicina.
Mi sarei distesa insieme a te su quel lettone, per tenerti abbracciata, con la stessa dolcezza con cui un uomo abbraccia la sua donna dopo aver fatto l’amore, avrei voluto che tu trovassi conforto e ristoro, come un bimbo quando riposa sul seno della mamma dopo aver mangiato.
Avrei voluto farti capire quanto ti sono vicina con l’anima, con il corpo e con tutto il mio amore.
Tu che hai sempre dato tanto per tutti, tu con la mania del bilancino per essere imparziale, tu che non hai mai liberato i sentimenti, tu che non sei mai riuscita a fare un complimento azzeccato, tu che hai vissuto ancorandoti ai detti popolari, tu che quando imprecavi il massimo che riuscivi a dire era ‘mannaggia turca mi farei!’, tu che hai sempre confuso i nomi di tutti i nipoti, tu che mi hai insegnato il valore delle tradizioni, che mi hai accettata così come sono.
La mia nonna pasticciona, con gli occhiali sempre sporchi di sugo, la borsetta sempre aperta per felicità dei borseggiatori, cuoca perfetta, senza riuscire a cucinare due volte la stessa ricetta in maniera uguale. Ci sono voluti anni per farti capire che dovevi togliere i fondi di caffè dalla caffettiera, prima di metterla nella lavastoviglie. Ne combinavi tante ma eri sempre pronta a riderci su.
Per te siamo sempre stati i nipoti più bravi del mondo e tu sei sempre stata pronta a donarci le tue carezze e il tuo splendido sorriso.
E’ così, con questo magico sorriso che ti voglio ricordare.
Buon viaggio.

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26.10.08

Per dignità, non per odio

Gira in rete da un po’ un documento
scritto ieri.
Mento: ha cinquantotto anni,
ma è come fosse ieri.
Parla di cuochi e di bassa cucina.
Meglio: di cosa parla basta leggerlo per capire.
Pensavo quindi a Calamandrei,
ieri sera, dopo aver visto le prime immagini
del grande raduno di Roma.
Pensavo a Calamandrei e a un altro suo celebre messaggio,
perché forte,
in questi giorni di lapsus e smentite,
si è sussurrato intorno alla parola dignità.

Tanti hanno disquisito mesi or sono
dell’incapacità di alcuni politici di parlare alla gente.
Ieri la gente ha parlato,
anche per bocca di uno di loro.
E nel pacifico raccogliersi delle persone,
eccolo il sussurro che si fa coro:
dignità.


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il 12 novembre alle 18.30 - sala Cenacolo.

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Contarla su... in banca, poi!

Sì, lo so, se hai appena il post precedente hai già pensato che siamo ben strani noi della Palestra della scrittura: facciamo persino pubblicità ai nostri concorrenti, quelli della Holden.
Ora che hai letto questo titolo lo hai pensato un’altra volta: “contarla su” è quello che ti fanno sempre, in banca! ne parlano i giornali da mesi! anche qui, nel blog della magia!

Niente a che fare, però, con le vertigini di borsa, con i suprime o i fondi di garanzia. Né con le palle raccontate dai cavalieri della finanza e della politica. Solo il breve racconto di un’esperienza fatta con la Cassa Rurale di Fiemme, in Trentino: un corso dal titolo "Contarla su", centrato sulle tecniche della narrazione organizzativa.

Molte aziende si basano ancora sulla “tribale” consuetudine della trasmissione orale (quando poi la qualità delle relazioni lo permette), e la scrittura resta un faticoso esercizio spesso considerato superfluo, burocratico, troppo compromettente.
Ma la crescente complessità organizzativa rende sempre più necessario scrivere per condividere la conoscenza. A volte questa è l'occasione per far riscoprire a qualcuno il piacere di scrivere. Scrivere, in fondo, è anche un modo per guardarsi dentro, analizzarsi, capirsi. Qualche volta aiuta anche a risolvere i conflitti che sono lì, nascosti da chissà quanto. È un esercizio che spinge a riflettere. Del resto, cos’accadeva con le favole, le leggende, le storie fantastiche che ci raccontavano le nonne, i romanzieri, i maestri, i cantautori? Ci portavano in un altro mondo, ci facevano pensare. Ci insegnavano, senza che ce ne rendessimo conto.

Applicate ai contesti professionali, le tecniche di narrazione possono offrire diversi vantaggi: esprimere concetti complessi in termini semplici; amplificare i significati aggiungendo sfumature; mettere in primo piano alcuni aspetti e relegarne altri sullo sfondo; rendere tangibili concetti astratti; evocare nuove esperienze; parlare alla sfera conscia attraverso quella inconscia, più sensibile e reattiva; stimolare emozioni e riflessioni; generare idee e azioni; aumentare la piacevolezza dei testi professionali.

Invitati a portare in aula i propri casi - pagine web, slide/presentazioni, brochure, dépliant, report, relazioni... - i partecipanti si sforzano di rielaborarli perché diventino storie appassionanti.

Bene, è quanto è avvenuto alla Cassa Rurale di Fiemme: si sono chiusi in un’aula, si sono allenati per qualche ora, poi hanno preso un loro evento, l’assemblea annuale, e l’hanno raccontata, da diversi punti di vista. Allegato qui sotto un assaggio dei risultati.

La magia sta nel fatto che, alla fine, quando ciascuno leggeva la propria storia, gli altri stavano lì, muti, rapiti, ad ascoltare, e a riflettere, come al “C’era una volta...” della nonna.

/Contarla%20su%20CRFiemme.doc

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24.10.08

Anche Torino ha la sua Palestra!

E' nata a Torino la Palestra Holden, uno spazio aperto dove allenarsi a scrivere storie e imparare i mestieri del grande schermo, ma anche curiosare fra diverse espressioni della narrazione dalla recitazione al graphic novel, dal documentario al noir.

Cinema e scrittura: questi i due fili conduttori della Palestra (... Holden)
i cui corsi inizieranno il prossimo novembre.

Per maggiori informazioni Scuola Holden

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23.10.08

Arriva il Web 4.0 e non ho niente da mettermi

“Aggiornarsi è una lotta contro il tempo”. E sul web ancora di più.
Ha ragione Mariella Governo, nel suo preciso e appassionato articolo da poco online per il sito della FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana).

“Con le prossime generazioni di internet e con l’affermarsi più spinto del wireless e dell’intelligenza artificiale, stiamo andando verso l’ubiquità del web nella nostra vita: un web al servizio delle nostre relazioni, per moltiplicarle e potenziarle. Un web sempre più al nostro fianco, e soprattutto al nostro servizio”.

Dal marketing all’ufficio stampa, dentro e fuori la Rete, oggi contano sempre più parole-valori come ascolto, condivisione, narrazione.

“I mercati sono conversazioni. Gli ipertesti sovvertono la gerarchia” ricordava ormai un decennio fa il Cluetrain Manifesto.

E allora – si chiede sempre Mariella – come possiamo dare corpo a queste parole chiave nel nostro lavoro quotidiano?

A partire dalle buone pratiche. Almeno due si distinguono per incisività ed efficacia: il blog tradotto in 11 lingue di Jonathan Schartz, amministratore delegato e presidente di Sun, e quello di Gabriele del Torchio, alla guida di Ducati.

Certo, non è facile, ma – anche per le aziende – trovare l’abito giusto sarà sempre più importante. Anzi, necessario.

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22.10.08

sorridi! anche nelle difficoltà

Linda ha scelto il chirurgo che la opererà, la chiameranno per fare tutte le analisi qualche tempo prima dell’intervento.
Finalmente arriva la telefonata, buon giorno signora lei è in lista per l’intervento, se le va bene posso sistemarla per i controlli per il giorno 10. venga alle 8,45 a digiuno, sarete in 5, resterà con noi tutta la giornata, poi le spiegheremo tutto quando arriverà, non si preoccupi

Il giorno 10, munita di un buon libro, del suo i-pod e di scarpe comode, Linda raggiunge l’ospedale e si siede tranquilla in attesa della chiamata, assieme ad altre quattro persone.
Dopo circa un quarto d’ora, un’ infermiera compare sulla porta e scandisce il cognome di Linda a chiare lettere, lei si alza ma dal fondo della sala una voce adirata e squillante dice eh no! ci sono prima io qui che aspetto, sono cose del terzo mondo, non ho bevuto nemmeno un caffè e devo fare tutta questa fila, ma siamo pazzi?
L’infermiera cerca invano di mantenere la calma per spiegare che tutti sono li per lo stesso motivo e tutti a digiuno, poi innervosita fa accomodare Linda nella stanza dei prelievi.
Linda ha deciso di affrontare la giornata con calma e con un gran sorriso, così cerca di chiacchierare un po’ con l’infermiera, per rasserenarla. Parlano del tempo, della vista che si gode dalle finestre dell’ospedale, di quanto è duro il lavoro in corsia. Dopo qualche minuto l’infermiera dice signora, che bello che è parlare con lei, è una persona così calma, così solare, grazie!.
Grazie? Pensa Linda, e di che? non ho fatto nulla di particolare. Invece non è proprio così, la gente che viene ascoltata con il sorriso, risponde con serenità e questa è una ricompensa grandissima, per tutti.

Dopo qualche istante compare l’addetta ai prelievi, dice a Linda di non preoccuparsi e fa il suo lavoro con calma. Linda approfitta di quel tempo per leggere il nome della ragazza sulla targhetta del camice e quando la saluta le dice grazie Elena,è stata bravissima, non ho sentito nulla.
Elena, che evidentemente non è abituata a sentirsi chiamare per nome, si illumina in volto e risponde sorridendo anche lei con un grazie.
Linda pensa che la giornata promette proprio bene e che in fin dei conti basta poco per creare un clima caldo confortevole.
Le successive 5 visite seguono lo stesso cliché.

Giunge così il colloquio con un chirurgo per la stesura della storia clinica.
Il medico chiama Linda, la fa accomodare di fronte a lui nella stanza delle visite, e per rompere il ghiaccio le dice buon giorno signora Linda, come sta? Linda, ormai allenatissima a leggere il nome sul camice risponde subito io sto bene grazie, è una buona giornata, e lei dottor Carlo come sta oggi?
Il dottor Carlo sussulta, guarda Linda dritto negli occhi, cade praticamente dalla sedia per l’emozione e dice mi scusi signora ma è che non sono abituato che i pazienti mi chiedano come sto, in effetti è la prima volta che mi capita, comunque grazie sto bene anchi’io
Qualche volta avere una buona giornata è una scelta ,come per Linda, altre volte è un’opportunità come per tutte quelle persone che quel giorno l’hanno incontrata.

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18.10.08

“I nostri figli negri”

Ho letto questa e-mail in un forum.
L’ho letta come madre, insegnante, cittadina, persona.
È passato qualche giorno e ho contattato il suo autore
che nel frattempo l’aveva inviata alle redazioni.
Il mio interesse si è dapprima incentrato sul linguaggio,
diretto, inequivocabile, quindi è andato oltre.
Il punto di vista parte infatti settoriale
poi ci coinvolge,
e quei figli negri sono davvero anche i nostri.
Grazie Massimo.

Siamo un gruppo di famiglie adottive (qualcuna ha già con sé i propri figli, altre sono in attesa) e molti di noi hanno figli con una pelle di colore diverso dalla maggioranza dei bambini della loro classe. Per dirla con le sottili metafore utilizzate dal nostro popolo di santi, eroi e navigatori (che in strada o in treno non sta troppo a sottilizzare fra chi ha il permesso di soggiorno e chi è irregolare, chi è di seconda generazione e chi è adottato e chi è figlio di coppie “miste”) sono negri. O cinesi, o marocchini, o zingari... ormai qui si picchiano tutti senza troppe distinzioni. E questo, da genitori, ci fa paura.
Noi stiamo crescendo i nostri figli in una famiglia italiana, pur rispettando le loro origini e le loro storie, e non vorremmo che, una volta riusciti a mitigare il loro dolore per l'abbandono e aiutati a integrarsi nella società che li circonda, si trovassero a essere fermati da qualche vigile urbano, o da qualche naziskin, che li pesta dicendo di tornare al loro Paese, che guarda caso è questo. Scusate la crudezza del titolo di questa mail, ma non ne possiamo davvero più (...). E siamo frustrati dal fatto che fra noi famiglie adottive, in riunioni e forum su internet, parliamo di quanto sia bello accogliere un bambino, mentre sul treno un signore spiegava a un suo amico che “è meglio che Obama non venga eletto, se no si montano la testa anche i negri che abbiamo qui”. (…)
Forse questi atteggiamenti sono dettati dalla paura, una paura dovuta anche ad altre incertezze di ordine economico: le banche senza soldi, le case che perdono valore pure dove non vivono gli extracomunitari, le magnifiche sorti dell'alta finanza che ora sembrano non poter proseguire senza il sussidio pubblico, come un qualsiasi capoluogo del meridione... In una situazione così difficile, quando qualcuno se la prende con i negri, sarà sicuramente un bullo idiota ma, guarda caso, identifica un “nemico” facilissimo da individuare a occhio nudo.
Sarebbe compito della società civile, della stampa e della cultura educare a distinguere fra imbecilli e razzisti, fra clandestini e immigrati regolari (…). Ma quando si rincorre qualcuno brandendo una spranga, non si sta lì a chiedere il permesso di soggiorno, ed è più facile individuarlo se ha una pelle di colore diverso. E questo, mi spiace, ma è razzismo.
Quel razzismo che grida ai diversi “torna a casa tua”. Ecco, per i nostri figli (per tanti figli adottivi negri, gialli, verdi o blu-livido), “casa tua” è questo Paese.
Che amiamo, anche se sta diventando astioso come un vecchio impaurito dal mondo che gli sta cambiando intorno, e che per questo avrebbe bisogno di essere assistito e rassicurato.
Magari da una badante, possibilmente in regola.

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17.10.08

C’è da aver paura!

Viviamo in un mondo nel quale è bene stare con le orecchie dritte, occhi aperti e attenti.
Vi racconto un episodio che è successo ad una persona a me molto cara e vicina che dal 1 di ottobre vive con la paura.
A suo figlio Andrea di 13 anni, un compagno di classe aveva rubato prima il portafoglio e poi gli occhiali che sono stati ritrovati proprio addosso al ladruncolo.
Andrea ha denunciato il fatto al preside, come farebbe qualunque ragazzo. Nessuno però sapeva che questo suo compagno di classe aveva delle amicizie non molto per bene. Non sto a disquisire sulla nazionalità del ragazzo (per altro di madre italiana), fatto sta che la banda della quale faceva parte ha giurato vendetta, oltre che morte.
Andrea da quel giorno vive scortato dai professori e dalla polizia perché questi ragazzi (dai 13 ai 17 anni) hanno giurato di dargli fuoco (lo hanno già pestato fuori dalla scuola sotto gli occhi della mamma e dei professori) e di fargliela pagare.
Vi rendete conto? Stiamo parlando di ragazzini dai 13 ai 17 anni che stanno crescendo senza valori, senza morale, senza nulla. La loro testa è vuota e riescono solamente a eseguire ordini di chi è o sembra più forte di loro. Cosa ancora peggiore è che stanno diventando molto pericolosi. E non solo, si impasticcano e si fanno di coca. C’è da aver paura veramente perché quando hanno in circolo quella robaccia in due secondi affondano un coltello in gola. Le autorità locali hanno riferito di suicidi per paura, di ragazzini che sono soli e che non hanno l’aiuto e il sostegno di una famiglia sana alle spalle. Robe da non crederci!
I pensieri di Andrea quali sono ora? Perché se uno ha fatto qualcosa di sbagliato è giusto che sia punito o denunciato. Vero? Se va contro la giustizia è corretto che paghi. Questi sani principi Andrea li ha. E’ cresciuto con una educazione nel rispetto delle regole e delle persone ed ha agito di conseguenza. Ma sta anche pagando le conseguenze. Ha timore perfino di scendere le scale da solo per andare in garage, a ricreazione non esce dall’aula perché questi ragazzini continuano a minacciarlo di morte.
La polizia vuole che Andrea da adesso in poi vada in giro da solo. Ha rassicurato i genitori che sarà seguito e scortato a distanza da numerosi poliziotti in borghese. Vogliono prenderli con le mani nel sacco. Ma tu, mamma, papà, zio, zia, nonno, nonna o semplicemente amico, come vivrai da oggi in poi sapendo che Andrea corre un tale rischio? E mi domando: i sani e buoni valori/principi vanno sempre e comunque seguiti anche a discapito della propria sicurezza?

Questo post non ha a che fare con la scrittura ma con la società della quale scriviamo e che purtroppo - lo dico con grandissimo dolore nel cuore – è la fotografia di un terribile problema sociale.

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15.10.08

Il linguaggio è donna

“La salute è un microcosmo che va salvaguardato e protetto”

O.N.Da, l’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna in collaborazione con il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, ha realizzato a partire da settembre 2008, fino ad aprile 2009 un’iniziativa volta a promuovere la salute delle donne e a divulgare alcuni problemi legati ad essa.
La salute delle donne è minacciata da molteplici fattori che la influiscono negativamente, inoltre, le donne risultano ancora oggi svantaggiate rispetto agli uomini nella tutela della loro salute.
Ed è per questo che Gilberto Corbellini e Nicla Vassallo hanno creato un evento culturale dal titolo “I comandamenti delle donne” che si svilupperà in 10 serate, durante le quali i comandamenti sono solo il punto di partenza per poi approfondire le tematiche legate ai diversi universi femminili.
Ogni comandamento verrà interpretato alla luce dei ruoli delle donne nella società contemporanea.
La musica accompagnerà l’evento con canzoni ad hoc per ogni singola serata. Fa riflettere, cela dentro di sé quello che tante donne non riescono a dire o a fare nella realtà, è una specie di sub-realtà nella quale molte donne trovano riparo e la usano per esprimere le loro emozioni e sensazioni. È un mezzo per comunicare, forse senza la paura di essere giudicate.

Che Dio c’è la mandi buona… la salute :O)

Per saperne di più:

http://www.ondaosservatorio.it/
http://www.museoscienza.org/

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Naturalezza

L’abbiamo dimenticata?
A me pare di si.
Secondo il dizionario Garzanti il significato di naturalezza è: l'essere conforme alla natura e al vero. E anche: semplicità, spontaneità, disinvoltura; assenza di artificio, di affettazione.
Mi colpisce “l’essere conforme al vero”. Difficile al giorno d’oggi. Perché la paura di dimostrare il vero di noi stessi blocca. Ecco che ci spostiamo - a volte senza rendercene conto - sul suo esatto contrario: affettazione, falsità.

Naturalezza, peculiarità insita nel bambino che c’è in noi. Forse abbiamo l’abbiamo persa come tante altre caratteristiche della nostra parte bambina. Quella parte che conserva le qualità buone, spontanee e sincere: il gioire per le piccole cose della vita, il piacere della scoperta, dell’entusiasmo, della semplicità e dell’allegria. Senza parlare dell’amore, quello vero.
Avete mai riflettuto sul fatto che questa parte può essere anche limitante?
La nostra parte bambina è anche quella che non ci fa crescere e che ci tiene ancora legati alla gonna della mamma o ai pantaloni del papà. E’ quella che implora l’affetto e l’aiuto degli altri. Quella che chiede continuamente attenzione perché se non fai così ti senti solo e indifeso. Ci rende insicuri nel fare delle scelte o nel prendere delle decisioni e non ci permette di camminare da soli.

La naturalezza la possiamo trovare anche nella scrittura perché la scrittura è in qualche modo un rispecchiare la realtà o la percezione di essa.
Se uno è naturale lo è anche nelle parole che scrive?
Forse si. Forse lo si capisce leggendo se lo è o non lo è, se è conforme alla sua natura o se è artificioso.
La parola scritta resta ed è come un gesto, una carezza o un bacio, che lasciano nella persona che riceve una sensazione, un profumo e una vibrazione. Questi gesti naturali te li ricordi bene e anche ciò che ti hanno lasciato. E’ così anche per le parole scritte, quando leggi qualcosa che ti prende, vorresti non finisse mai.
La naturalezza riduce le distanze, fa entrare subito in sintonia. Se la usiamo anche nella scrittura la persona che la percepisce si apre all’ascolto ed il messaggio che vogliamo lasciare entra silenziosamente.

14.10.08

Tu quale scegli?

Un giorno una donna scoprì di dover affrontare un delicato intervento chirurgico. Per fortuna nell’ospedale del suo comune operavano ben due chirurghi specializzati proprio in quella patologia.
La signora, un po’ in ansia decise di consultarli entrambi.
Il giorno fissato per la prima visita, la signora si recò in reparto, il chirurgo si fece precedere da un’infermiera che invitò la signora ad accomodarsi nel salotto dei degenti. Dopo un quarto d’ora circa si materializzò l’anziano luminare, accompagnato da una assistente tipo fotomodella. Il medico disse 'sono molto impegnato la lascio con la mia assistente che le spiegherà tutto'.
La donna fu accompagnata dall’assistente in giro per il reparto alla ricerca di una stanzetta dove parlare, dopo aver aperto e poi richiuso una decina di studioli, arrivarono ad una specie di sottoscala con dei divanetti stile discoteca anni settanta. L’assistente fece accomodare la donna, le spiegò i dettagli tecnici dell’intervento e scrisse il numero di cellulare da chiamare per qualsiasi altro chiarimento, poi salutò la donna accompagnandola alla porta.
Il giorno dell’appuntamento con il secondo chirurgo, sulla porta dal reparto c’era proprio lui ad attenderla, e con un bel sorriso le chiese scusa per averla fatta aspettare e la accompagnò nel suo studio, disse all’infermiera di non disturbarlo almeno per mezz’ora.
Prima mise a sua agio la donna con qualche chiacchiera generica, poi, per affrontare il problema chirurgico disse: 'vuole che guardiamo insieme le sue analisi così poi le spiego i diversi modi di affrontare la soluzione. Lei sceglierà solo dopo che avrà consultato il suo medico di base o i suoi cari, a me spetta darle tutti gli elementi necessari a valutare la situazione'.
Dopo le spiegazioni aggiunse, 'si ricordi che sarò io ad operarla, personalmente, questo è un passo importante per lei e lo deve affrontare con fiducia. Ci pensi e poi mi faccia sapere. Se la risposta sarà affermativa ci prenderemo noi cura di lei e le accompagneremo passo dopo passo in tutte le procedure da rispettare, lei non dovrà più preoccuparsi di niente'.

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12.10.08

parole semplici, parole complesse

Le parole possono fare brutti scherzi. Prendiamo ad esempio l’espressione “non ci sono più soldi”. È quello che onestamente ammettono ora molte Amministrazioni comunali. Frase semplice, concetto chiaro. Chiare anche le conseguenze: bisogna tagliare le spese. Facile anche sarebbe trovare di chi è colpa. Ovvio, del Governo, che ha tagliato l’ICI, cioè le entrate del Comune. Risposta semplice e chiara. Di queste risposte semplici, però, qualcuno potrebbe obiettare, bisogna diffidare, perché ci sono tanti problemi, complicati, che è difficile anche spiegare, come la gestione degli investimenti finanziari dei Comuni, l’aumento delle spese energetiche, la crescita del fabbisogno del sociale… ). Verissimo. Può essere semplice dire: per fare cassa vendiamo qualcosa. Vendere un bel palazzo storico, ad esempio, come intendono fare a Verona con Palazzo Forti, sede della Galleria d’Arte Moderna: anche questa è una risposta semplice e chiara, ma sarà la migliore? Insomma, bisogna diffidare delle risposte semplici. Così come diffidiamo delle analisi semplici: le parole, come “sicurezza”, sono chiare, ma cosa ci dicono? Sono sufficienti a spiegare lo stato delle nostre città? Non sono necessarie, forse, analisi più profonde, meno semplici, che spieghino questo mondo, che così semplice non è? Come potremmo spiegare, con una parola, l’attuale crisi finanziaria? Forse è tornato il momento che noi cittadini non ci accontentiamo di risposte semplici e di parole semplici: perché ci possono fare dei brutti scherzi, e portarci dentro una crisi ben più complicata di quello che ci immaginiamo.

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9.10.08

Anziano sarà lei!

Ci risiamo. O che negli Stati Uniti sono stati presi dalla fregola delle ricerche sul linguaggio, o che "Repubblica" si è appassionata all'argomento. Notizia di oggi: "Niente eufemismi: agli over 70 parlate chiaro". Dalla consueta ricerca condotta in uno sperduto paesino dell'Ohio, si scopre che "il linguaggio che si adopera in qualche caso con gli anziani invia di fatto al paziente un messaggio specifico: quello che è un incapace". Come già avevo osservato in altro post (sono ripetitivo?), e come aveva (grazie!) ripreso Annalisa in altro recente, la conclusione cui dovremmo giungere è che le cose, i fatti sono conseguenza delle parole. IL che non è vero in assoluto (se fosse così, a quest'ora sarei in giro per i boschi a godermi l'autunno); ma è vero che le parole incidono fortemente sulla nostra percezione di noi stessi. E che a forza di sentirsi dare dello stupido, uno magari pensa di esserlo davvero. Accade naturalmente con maggiore facilità per coloro che, per motivi diversi, sono più esposti: bambini ed anziani appunto. Leggere, per credere, il "Linguaggio della salute": come per dire, vedete, l'avevamo detto. Ma in questa rivendicazione c'è poco da rallegrarsi. Perché emerge, dalla nostra realtà, ancora una volta (e accidenti, mi tocca essere d'accordo con gli yankee) che usiamo la parola non pensando a chi ci ascolta, ma a noi stessi. Se ci rivolgiamo ad un anziano con scarso rispetto o con un linguaggio infantile, è perché in quel momento stiamo pensando a noi, non a lui; perché stiamo creando una relazione asimmetrica, sul piano emotivo e quindi anche su quello linguistico.
In questo caso, come sempre, c'è una soluzione: usare la lingua come vero strumento di comunicazione, di messa in comune di suoni, parole, concetti, valori. Cioè essere sempre consapevoli che, per intrattenere una vera relazione con una persona, occorre mettersi nei suoi panni. O come dicono gli yankee, "in his/her shoes".

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6.10.08

Amore, bugie ed e-mail

"Vi ha dichiarato amore eterno via email? Chiedete la prova. Quel messaggio ha molte possibilità di essere una bugia. Secondo lo studio condotto da un team di ricercatori americani, chi usa la posta elettronica tende a mentire il doppio di chi scrive a penna." Così un articolo che ho appena letto su Repubblica on-line. Una delle tante ricerche americane farebbe emergere che si mente più facilmente se si scrivono e-mail piuttosto che lettere vergate a mano. Di fronte a questi studi, lo ammetto, generalmente sono un po' scettico. Epperò un dubbio mi viene. E se fosse vero? Vorrebbe dire che il mezzo (carta o computer) influisce sul messaggio. E questo lo si insegna anche al ginnasio. E lo si può capire bene anche se si considerano altri mezzi di comunicazione (ad esempio: radio contro TV). Qui ci potremmo lanciare, come fanno - se non intendo male - i realizzatori della ricerca, in una serie di considerazioni tra il sociologico e lo psicologico. Ma la questione potrebbe essere anche più semplice (e più complicata allo stesso tempo): siamo di fronte ad un cambiamento epocale nel nostro modo di comunicare, paragonabile, credo, solo all'invenzione della stampa, che non a caso è stata definita "La rivoluzione inavvertita". Come in tutti le rivoluzioni dobbiamo imparare a vivere nella nuova realtà, che non è per nulla chiara, anzi, per essere onesti, è piuttosto torbida. E, come ci insegna don Lisander, nel torbido è più facile rimescolare. E nel torbido, a sguazzare sono soprattutto gli azzecca-garbugli di turno. Non c'è verso allora: l'unica strada da percorre è sempre quella indicata dai retori antichi: chi vuole comunicare deve essere "vir bonus, dicendi peritus", come dire: prima viene l'uomo, poi lo scribacchino che è in lui. E l'uomo, prima di tutto, deve essere una brava persona. E lo sarà sempre, che scriva a penna o con la tastiera. Ma si sa, 'sti mericani, il Cicerone lo usano come guida turistica...

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5.10.08

Quando non eravamo pusillanimi

L’attenzione alle parole, le parole e le persone,
le parole e le cose, dà forma e ragione
a questo blog e agli studi che lo accompagnano.
“Res sunt consequentia verborum”
citava pochi giorni fa Lorenzo,
e condivido con energia il suo allerta conclusivo:
il peggioramento del clima civile
è ascrivibile anche a chi ogni giorno inquina
il linguaggio del senso comune.

Lo rammenta in un articolo su Peace Reporter
Giuseppe Faso, autore tra l’altro del libro
Lessico del razzismo democratico.
Faso ci aiuta a riflettere su una parola
attualmente in voga, clandestino,
e ce ne ricorda l’etimo
per farcela guardare da un altro punto di vista
questa parola, e indurci a capire che l'apprezzamento
di cui gode è campato in aria.
Esito di un (consapevole?) distorcimento.

Clam-die-stinus
significa infatti “che si nasconde di giorno”,
e l’onestà intellettuale può far tirare a ognuno di noi
qualche conclusione, noi che nei cantieri,
nelle cucine dei ristoranti,
nelle case di chi ha anziani da assistere
li vediamo eccome questi immigrati.

È che, mangiati come siamo da paure demagogiche,
lente iniezioni sottocutanee da benigno salotto televisivo,
tendiamo a dimenticare tanto.
Tra questo tanto
forse anche il coraggio.
.

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3.10.08

Pandora, la tv finanziata dai cittadini

Non c'è nome più adatto per un nuovo progetto televisivo, appunto Pandora: idea lanciata alcuni mesi fa da Giulietto Chiesa e che ora - con redazioni e comitati sorti un po' in tutta Italia - prende forma. Si tratta di uno spazio di informazione indipendente che andrà in onda su satellite, reti regionali e web. Un programma di approfondimento giornalistico finanziato dai cittadini. .

Dal vaso della mitologia questa volta, però, non «verranno liberati» i mali del mondo, ma le verità che nessuno vuole più raccontare. E un progetto che nasce dal basso, presentato ufficialmente a Roma qualche giorno fa… Dopo essere stata a Tori­no (alle 18, Idea solidale, corso Novara 64), arriverà in Val di Susa a Bussoleno, alle 21.15, per la presentazione del progetto con Chiesa e Udo Gumpel, corrispondente in Italia della tedesca Ntv, che sarà il direttore della testata.

La sottoscrizione è stata lanciata da tempo e, ad oggi, più di 3.500 cittadini si sono dichiarati disposti a versare la quota (da 100 a 250 euro) per dar vita a Pandora, dimostrando un'esigenza, non demandabile, di pluralismo e libertà di informazione. Anche i lavori per il format sono iniziati, se tutto andrà come dovrebbe, partirà in autunno.
A Torino si è formata una piccola redazione, dove già si parla di come impostare i servizi, che taglio dare (inchiesta o cronaca), ma anche di come recuperare le telecamere. Pandora nasce puntando sulla qualità - sia di contenuti sia di forma - con professionisti della comunicazione, ma è aperta alla collaborazione di chi abbia qualcosa da raccontare. E soprattutto, dicono gli organizzatori: «Pandora non è il megafono di qualcuno o per qualcuno, vuole dare voce a chi non ce l'ha». Si propone come esempio autentico di servizio pubblico, una televisione che risponde a un unico editore: i suoi telespettatori.

Si partirà allora con un programma settimanale di 90 minuti e un notiziario quotidiano sul web e sul satellite, realizzati negli studi di Europa 7 di Di Stefano. E se si scorre la lista dei primi firrnatari, le prospettive non possono che essere buone: da Alex Zanottelli a Sabina Guzzanti, da Luciano Gallino a Felice Casson, da Franco Cardini a Moni Ovadia, da Valentino Parlato a Serge Latouche, da.Gianni Minà a Ennio Remondino.

Per il resto, si può andare sul sito, www.pandoratv.it.

Dal Manifesto 26 settembre 2008

2.10.08

All'armi!

La battaglia non è quella del grano. Non è nemmeno (tanto meno!) il "Mein Kampf" o una "Blietzkrieg". Non è neanche un "bellum omnium contra omnes". Se battaglia deve essere, che sia quella di noi stessi con noi stessi. Di cosa parliamo, si chiederà chi per avventura legge questo blog. Parliamo di parole, ovviamente. Lo spunto ce lo dà quel parolaio (e non è un insulto) di Bartezzaghi giuniore, che, dalle pagine di "Repubblica" di oggi (con richiamo in prima pagina) riflette sul linguaggio Politicamente Corretto (PC) e Politicamente Scorretto (PS). Tanto in voga l'uno quanto l'altro, come sappiamo. Spesso irritante tanto il primo quanto il secondo, per opposti motivi. C'è però un punto, che ci sembra cruciale, nel ragionamento di Bartezzaghi, per spiegare il quale ci sembra di poter riprendere, all'inverso, un detto latino: "res sunt consequentia verborum". Già: che le parole riflettano il reale è tesi che poco ci convince (ma il cortese lettore può, se vuole, andarsi a leggere "La magia della scrittura" e troverà pane con cui placare la fame di conoscenza); che invece la realtà rifletta le parole, questo ahimé, tende ad essere vero. Perché va detto con un grido di dolore? Perché se le parole, ci fa pensare il cruciverbista di vaglia, diventano fatti, a forza di sentire "me ne frego del me ne frego", cioè non mi importa nulla della verità storica; se continuo a dire che i morti sono tutti uguali (che sarà forse vero, ma da vivi, quei morti, non lo erano: tra un partigiano ed un repubblichino la differenza, da vivi, c'era e c'è); a sentire sempre dare del "tu" ad un "negro" e del "lei" ad un "bianco", beh, che le parole si traducano in realtà non è idea peregrina. I fatti, quotidianamente, lo dimostrano. Il "format", come lo ha chiamato Berselli, si riempie di contenuti, ovvero le parole si traducono in realtà. Una realtà che ci porta indietro, lontani dalle parole che ci piacciono. Ma, si potrebbe obiettare, questo potrebbe avvenire anche al contrario: non solo per il PS ma anche per il PC, verso le belle parole, non le brutte parole. Il punto è che ho dovuto usare il condizionale, non l'indicativo. Se dovessi tradurlo in latino, quel condizionale lo tradurrei con un periodo ipotetico del terzo tipo, quello dell'irrealtà. La battaglia è dunque persa? No, perché solo chi si ferma è perduto. E noi, per dirla con un PS, col cazzo che ci fermiamo.

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