(che poi chi l’ha detto che scripta manent?)Ci si preoccupa tanto di quel che si scrive?
Ci si preoccupa abbastanza di come si legge?
Verba volant, scripta manent, si diceva:
le parole pronunciate le porta via il vento, ma quelle scritte,
quelle scritte rimangono, nere su bianco, blu su azzurrino,
comunque stagliate, sono lì, pronte a ricordarti un amore,
rammentarti un impegno, rinfacciarti un voltafaccia.
Ma è davvero così? Contratti a parte, le parole scritte,
per passatempo, sentimento, noia, perse in un reticolo di fretta,
grondanti quello spasmo d’anima, hanno davvero maggior dignità,
valore, responsabilità delle altre?
Penso a quelle in rete, impigliate nei blog, scritte addosso a una mail,
ritagliate a una pubblicità,
penso ai ritmi forsennati di tanti di noi, agli sms catafratti,
alle migliaia di righe, alla pletora di millimetri, al surplus di stimoli
che ogni giorno riceviamo, e a quanto, quanto di quelle parole scritte,
scritte magari a noi,
scritte con cura, attenzione, amore antichi,
ci scivolano addosso, e allora è come parlare.
Anzi, no, perché ascoltare è mica tanto impegnativo,
ma leggere, leggere ti chiede uno sforzino,
e allora quasi quasi chi ti scrive ha una colpa in più.
Scripta manent, appunto.
E penso a
Keats, alla poesia come ermeneutica dell’esistere,
e penso che oggi, in tanta fretta,
anche le parole scritte forse hanno una colpa in più.
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